Cosa significa davvero considerare un lago, e in particolare un lago artificiale, un bene comune? E quali politiche vanno messe in campo perché questo bene sia realmente al servizio della collettività?
Con l’arrivo dell’estate e la crescente pressione sulla risorsa idrica, il futuro di Montedoglio torna ad essere al centro dell’attenzione pubblica. Non solo per il suo ruolo strategico come principale serbatoio artificiale a cavallo tra Toscana e Umbria – riacquisito a pieno titolo all’indomani del collaudo definitivo dello scorso marzo – ma anche per le recenti novità istituzionali che ne riguardano la gestione.
Alcune settimane fa è stato infatti sottoscritto un protocollo tra le due regioni per un utilizzo coordinato dell’acqua a fini irrigui e potabili e lo sviluppo di nuove infrastrutture legate al sistema idrico. Un’intesa definita “storica”, che apre nuove prospettive ma pone anche interrogativi sulla governance del lago e sul ruolo che gli invasi artificiali possono e devono avere nei territori che li ospitano, tra sostenibilità, futuri ulteriori utilizzi e responsabilità collettiva.
In questo periodo di intense riflessioni, la nostra redazione vuole contribuire al dibattito condividendo spunti e contenuti che possano offrire al pubblico un quadro ancor più chiaro e approfondito sulle prospettive, le criticità e le potenzialità legate a Montedoglio. Lo faremo attraverso una serie di articoli che ripercorreranno le considerazioni di alcuni autorevoli relatori intervenuti al convegno “Lago di Montedoglio: conoscenze e opportunità per uno sviluppo sostenibile del territorio”, evento svoltosi il 29 novembre 2023 su iniziativa della Fondazione Progetto Valtiberina e dell’azienda Aboca, con la collaborazione di EAUT.
In questo primo approfondimento torniamo sulle parole del professor Manuel Vaquero Piñeiro, professore associato di Storia economica all’Università di Perugia, che proprio in quella sede ha offerto una chiave di lettura utile per comprendere il ruolo dei laghi, e in particolare degli invasi artificiali, nel contesto ambientale, sociale e normativo dei territori.
Lago naturale e lago artificiale: la questione giuridica
Nel suo intervento, il docente ha posto l’accento su un tema spesso trascurato: la distinzione, non solo semantica ma anche giuridica, tra un lago naturale e un lago artificiale. “I laghi naturali – ha spiegato – rientrano tra i beni demaniali, appartengono alla collettività, nessuno può considerarli proprietà privata. Diverso è il caso dei bacini artificiali, che pur essendo percepiti a livello sociale come ‘laghi’, in realtà appartengono a enti o soggetti giuridici, pubblici o privati, con regole differenti”. Una distinzione che, secondo Vaquero, meriterebbe maggiore chiarezza e forse un ripensamento normativo, visto il peso che questi invasi hanno assunto negli equilibri ambientali, idrici ed economici di molte aree.
Il patrimonio delle dighe: una sfida per il futuro
Se in Italia e nel mondo occidentale da decenni si è smesso di costruire nuove grandi dighe – ha ricordato Vaquero – resta però il nodo della gestione e manutenzione delle strutture esistenti. “Siamo eredi di un patrimonio imponente di invasi e sbarramenti, spesso costruiti nel dopoguerra o nei decenni successivi, che oggi si avvicinano a un’età critica. Quanto può durare una diga? Sessant’anni? Cento? Se siamo a metà del percorso, dobbiamo seriamente chiederci cosa fare di queste strutture prima che invecchino irreversibilmente o diventino pericolose”.
Negli Stati Uniti, ha osservato il professore, si assiste già da tempo a un fenomeno inverso rispetto al passato: non più costruzione, ma smantellamento delle grandi dighe, sotto la pressione dei movimenti ambientalisti e in risposta alle sfide climatiche.
Turismo e gestione: “Non basta un pedalò”
Montedoglio, con il suo bacino artificiale, rappresenta perfettamente questa complessità. “Non credo che la soluzione per questi invasi sia semplicemente il turismo”, ha sottolineato Vaquero. “Fare turismo in un lago artificiale richiede progetti lungimiranti, capacità imprenditoriali, attenzione agli equilibri ambientali. Non basta mettere un pedalò in acqua. Altrimenti si rischia di trasformare un’opportunità in un problema”.
L’elemento centrale, per il docente, resta il coinvolgimento della comunità e delle istituzioni, chiamate a governare questi spazi nel lungo periodo. “Se dichiariamo che il lago è un bene comune – ha concluso – dobbiamo assumerci la responsabilità di definirne il governo, di coinvolgere i cittadini, di affrontare le sfide legate all’invecchiamento delle strutture e ai cambiamenti climatici. Non possiamo più limitarci a guardare il lago: dobbiamo decidere cosa farne”.