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Rey Sciutto: “Sono venuto in Valtiberina per sentirmi un po’ Michelangelo”

Michelangelo, dal castello di Caprese a YouTube. Rey Sciutto, classe ‘97, nato in Calabria ma residente a Bologna, è oggi uno dei volti più noti della nuova generazione di divulgatori sui social. Con oltre 230mila follower su TikTok e altri 100mila su Instagram, Rey da circa quattro anni racconta con tono ironico, scanzonato e satirico la storia dell’arte, senza per questo tralasciare la correttezza e la precisione dei contenuti e delle informazioni. Il 5 marzo del 2024 ha pubblicato il suo primo libro, Michelangelo non è una tartaruga, edito da Electa, nel quale si propone di raccontare la storia dell’arte ai più giovani, sempre con un linguaggio fresco, fatto di meme e comicità.

Il content creator è divenuto noto anche in tv: a gennaio 2024 si è aggiudicato la vittoria nel quiz televisivo The Floor – Ne rimarrà solo uno, programma andato in onda su Rai2 e condotto da Ciro Priello e Fabio Balsamo del collettivo comico The Jackal.

Da tempo Rey ha deciso di espandere la sua attività di divulgazione su YouTube, piattaforma dove carica i contenuti più lunghi e strutturati. Qui, prossimamente, sul canale Ius Primae Channel verrà pubblicato un video monografico dedicato a Michelangelo Buonarroti. Un lavoro di ricerca che lo ha condotto fino in Valtiberina, dove la storia comincia. Precisamente a Caprese, tra le sale del Museo “Casa Natale”.

Cosa ti ha portato a visitare la Valtiberina?

Specificatamente Caprese Michelangelo, perché è un nome che risuona sempre in ambito accademico, o alle superiori, o nei manuali, o nei saggi. Questo è un posto difficile da raggiungere, inoltre non è mai di strada se devi andare a Firenze o a Roma per altri lavori. Quindi, purtroppo, non c’è mai stata l’occasione di visitarlo e sentire lo spirito michelangiolesco che aleggia in questa zona. Diciamo che volevo sentirmi un po’ Michelangelo. Vedere come un grande è partito da un posto sperduto per me è quasi rassicurante perché anche io vengo da un paesino: sono nato a Vibo Valentia e sono cresciuto a Pizzo Calabro.

Nel corso della tua visita al Museo “Casa Natale di Michelangelo” quale dettaglio ti ha particolarmente colpito?

Direi la copia del ricordo di Ludovico Buonarroti. Ho sentito quel testo particolarmente vicino, specialmente per una questione linguistica. Il ricordo non è in latino, è in volgare, la calligrafia è molto più leggibile rispetto ad altri corsivi antichi, tipo il carolingio che è quasi incomprensibile. Al di là del linguaggio, che è molto più aulico rispetto all’italiano corrente, sentivo tutta la felicità di Ludovico per la nascita di questo figlio maschio. All’epoca era importante battezzare i bambini subito, appena nati, perché non era raro che morissero molto presto. Ironicamente, Michelangelo ha vissuto fino al 1564, ovvero 89 anni.

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Michelangelo è uno degli artisti più famosi in tutto il mondo, in quanto autore di tantissime opere considerate dei capolavori. Qual è la caratteristica del suo lavoro e della sua persona che reputi maggiormente interessante?

Probabilmente il carattere. Michelangelo era notoriamente burbero e molto egoriferito. Mi ci rivedo molto, perché anche io sono molto egocentrico, e quindi credo che saremmo andati a braccetto insieme, seppure due caratteri forti nello stesso ambiente possano scontrarsi, vedi per esempio il rapporto difficile che lui ebbe con Leonardo da Vinci. C’è un episodio della sua biografia che secondo me è particolarmente interessante, ovvero la trattativa per il compenso del Tondo Doni.

Agnolo Doni si vide consegnare il dipinto dal garzone e disse una cosa del tipo “70 fiorini sono un po’ troppi, torna dal tuo padrone e digli che posso dargliene la metà”. Michelangelo, sentendo questa cosa, si arrabbiò non poco, giustamente, e disse al garzone: “Tu torna da lui e digli che adesso l’opera costa 140 fiorini”. E li ottenne: Agnolo Doni pagò 140 fiorini per l’opera che porta il suo nome e oggi si trova agli Uffizi.

Questa storia fa trapelare il lato positivo dell’egocentrismo, dell’amor di sé, del riconoscimento del proprio valore. Un insegnamento che molte persone dovrebbero prendere come spunto per la vita di tutti i giorni.

Nel tuo libro “Michelangelo non è una tartaruga”, uscito nel 2024, ti proponi di raccontare la storia dell’arte ai più giovani. Nello stereotipo, i ragazzi e le ragazze non sono il pubblico più interessato a questo genere di argomenti, ma è davvero così?

Assolutamente no, tra i miei follower la maggior parte sono giovanissimi sotto i 20 anni. Ho notato delle differenze di genere tra i vari canali che uso (ci sono più ragazze su Instagram e più ragazzi su YouTube, ad esempio), ma il mio pubblico è composto prevalentemente di giovani che vogliono conoscere e approfondire i temi della storia dell’arte.

Come spieghi questo grande successo della divulgazione sui social?

Credo che sia un fatto legato alla passione. Spesso ci capita di essere appassionati, ma di non avere le parole per esprimere quello che proviamo. Io credo che, quando qualcuno prova un grande amore per un argomento e riesce a trovare le parole per raccontarlo, le persone se ne accorgano e ascoltino. Non vale solo per la storia dell’arte. Io non sono appassionato di materie scientifiche, ma i video di Vincenzo Schettini, Barbascura X e Chimicazza m’interessano e li guardo volentieri. Non è una lezione somministrata a forza, è la passione di una persona che parla.

Oggi è possibile informarsi e apprendere nozioni su molti temi in poco tempo, da casa e gratuitamente. Questo ha aperto anche a nuove possibilità per l’insegnamento. Cosa manca all’educazione scolastica per permettere ai ragazzi di appassionarsi?

Manca il collegamento con la contemporaneità e la quotidianità. Faccio un esempio: tu puoi spiegarmi quante volte vuoi la prima legge della termodinamica, ma se non mi dici anche per cosa è usata nel quotidiano, è un’informazione come un’altra. Mi piace Vincenzo Schettini proprio perché fa degli esperimenti in classe e fa vedere queste cose. Per le materie umanistiche, come la storia, uso un altro esempio: tu puoi parlarmi quanto vuoi di Mussolini e Hitler, ma, se non mi fai vedere l’eredità di quel periodo nero oggi, non se ne capisce l’entità. Oggi ci sono partiti, sia estremi che “imborghesiti”, che sono eredi di quell’ideologia. Umberto Eco nel suo libro Il fascismo eterno diceva che questa ideologia non sarebbe tornata uguale a prima, con le camice nere e l’olio di ricino, ma sotto altre vesti. Lo sosteneva anche Michela Murgia. Io in realtà credo che stia tornando molto simile a prima. Le persone oggi non si vergognano nemmeno di dire di avere il busto di Mussolini in casa, mentre ci sono politici che si vergognano a definirsi “antifascisti”. Senza il collegamento con la contemporaneità non si può far capire che l’insegnamento non serve per l’interrogazione, ma serve per la vita.

La cultura umanistica ha un grande passato, ma sempre più difficilmente riesce a trovare uno spazio all’interno del mondo di oggi. Quali sono i grandi insegnamenti di vita che ti hanno dato la storia e l’arte?

Io mi sono dedicato soprattutto alla storia dell’arte, in particolare alla pittura. Una cosa che di sicuro mi ha insegnato studiare questo genere di opere è che qualsiasi cosa va vista contemporaneamente nel dettaglio e nel complesso. Il dettaglio serve a comprendere quelle caratteristiche che da uno sguardo superficiale non emergerebbero, ma hanno grande valore. Il complesso, invece, serve a valutare l’opera nella sua interezza, affinché abbia senso. Questa cosa la ritrovo spesso nei rapporti umani, perché noi ci concentriamo spesso su un dettaglio, magari un difetto caratteriale di una persona, che magari ci attrae, ma se rimaniamo fissi su quel dettaglio, dopo forse non riusciamo a vedere le cose da lontano e accorgerci che quella caratteristica è il frutto di un complesso, un insieme di cose che lo hanno determinato. Senza il contesto, non si capisce per davvero il senso di una cosa, ma anche di una persona.

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