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La storia della peste a Sansepolcro, tra eventi e ricostruzioni

A Ferragosto ad Aboca Museum una visita guidata sui rimedi dell’antica arte farmaceutica per combattere l’epidemia di 500 anni fa, immortalata dalla tavola votiva del pellegrinaggio a Loreto

Pellegrinaggio della Compagnia del Crocifisso a Loreto (particolare)

Singolare iniziativa a Sansepolcro in occasione del Ferragosto: data la coincidenza con la festa dedicata a San Rocco, protettore degli appestati (che si tiene il 16 agosto), Aboca Museum propone una visita tematica finalizzata a ripercorrere la storia della peste attraverso gli strumenti messi a disposizione dall’antica arte farmaceutica. Le epidemie nel locale vennero combattute con ogni mezzo, anche e soprattutto con le umili erbe locali. Il programma di giovedì 15 prevede per le 11 il ritrovo ad Aboca Museum in via Niccolò Aggiunti 75 e l’inizio dell’attività, che si concluderà alle 12. Chi lo desidera potrà prenotare il pranzo all’osteria “Il Giardino di Piero” telefonando al numero 0575 733119. Il ristorante, gestito dalla stessa azienda Aboca, offre una ricca proposta di piatti della tradizione, con ingredienti bio e a “chilometro zero”, con menù alla carta. Con la comunicazione della partecipazione all’evento Aboca, verrà riservato uno sconto del 10%.

“Pellegrinaggio della Compagnia del Crocifisso”, olio su tavola, prima metà del XVI secolo, Museo civico di Sansepolcro

La “ricostruzione” della tavola votiva

La visita del giorno di Ferragosto offre lo spunto per riaprire un capitolo della storia di Sansepolcro che, subito dopo aver ottenuto la titolarità della diocesi e quindi l’elevazione al titolo di “città”, dovette fare i conti con la peste per diversi anni (stiamo parlando di quanto avvenuto cinque secoli fa esatti) e l’epidemia decimò la popolazione del Borgo. Sempre la peste, si sarebbe ripresentata a distanza di cento anni, ma in quella circostanza l’ostacolo venne ben aggirato. La peste che rimane più nota a Sansepolcro – e della quale parliamo, facendo riferimento alla ricerca condotta dallo storico locale don Andrea Czortek – è quella di 500 anni fa e ad essa è legata anche una particolare opera d’arte: la tavola votiva attribuita a Giovanni del Leone da Lorenzo Coleschi, anche se Odoardo Hillyer Giglioli solleva dubbi in proposito, mentre Francesca Chieli opta per un autore anonimo. In essa è rappresentata una Sansepolcro fortificata e piena di torri e campanili. In primo piano, quattro confratelli della Compagnia del Crocifisso reggono una barella sulla quale vi è un malato e accanto sono raffigurati un sacerdote in preghiera e tre dolenti. Nella parte inferiore c’è una iscrizione:

DAL BORGO EL CAPELANO DEL CRVCIFISO
CON LI FRATELLI DE DITTA CO(M)PANIA
SE ABOTIERO QVI A LORETO A MARIA
E SCANPORNO DAL MORBO E G(R)ANDE ABISSO.
NE MOR[Ì] [3]66[4] DE MORBO NELL’A(N)NO IDXXIII.

Questa la trascrizione che ha dato nel 1994 il professor Enzo Mattesini, evidenziando come si tratti di una «quartina in volgare, rimata ABBA, di approssimativi endecasillabi, che ne orienta l’interpretazione, seguita da una quinta linea recante una notazione cronachistica». Rispetto alla versione della tavoletta, le parole sono state separate e nell’ultima riga sono stati inseriti accento e apostrofo. Le integrazioni apportate a quest’ultima sono state possibili grazie alla trascrizione di Francesco Corazzini di Bulciano, del 1874 e alla copia eseguita da Corrado Comanducci nell’aprile 1915 e oggi conservata negli uffici della Confraternita di Misericordia. Le vittime, come si legge dalla trascrizione, furono 3664: un bilancio pesante, se rapportato al biennio 1522-23, anche se per Mattesini la data potrebbe riferirsi non al compimento del pellegrinaggio ma alla formulazione del voto; il pellegrinaggio si svolse alla fine della primavera del 1528, per cui è probabile che il totale sia stato computato al termine dell’epidemia. Mancando le registrazioni dei decessi per gli anni della peste, per valutare la veridicità della cifra è quindi necessario andare per ricostruzioni ipotetiche. Dividendo il totale riportato dall’iscrizione per i sei anni durante i quali si sviluppa il contagio – dalla metà circa del 1522 alla metà circa del 1528 – si ottiene un totale annuo di 610 defunti. Una cifra elevata, ma non improbabile, secondo quanto si conosce a proposito del livello demografico di Sansepolcro tra i secoli XV e XVI. In base a fonti da ritenere sicure, gli abitanti sarebbero stati 4397 dentro le mura e 1379 al di fuori, per un totale di 5776 persone relativamente a coloro che sono interessati alla tassa sul sale e ai quali occorre aggiungere gli esenti fra poveri e religiosi di conventi e monasteri, per un numero approssimativo di circa 110 abitanti, che porterebbe quello complessivo dei residenti al Borgo intorno alle 5900 unità. Il dato riportato nella tavola è pertanto veritiero se riferito al periodo 1522-28, altrimenti la peste avrebbe portato a una diminuzione di oltre il 60% degli abitanti nel giro di due soli anni. Ciò rafforza la tesi del professor Mattesini sulla realizzazione della tavola non al momento della formulazione del voto, ma dopo il pellegrinaggio.

restauro-compagnia-crocifisso

Una vittima illustre: il vescovo Galeotto Graziani

Molte informazioni sulla peste si ricavano dal registro 7 bis della serie II dell’Archivio Storico Comunale, attraverso i verbali del consiglio comunale. Fra le illustri vittime della peste, anche il primo vescovo della diocesi di Sansepolcro, Galeotto Graziani, che muore il 16 aprile 1522. Il 31 luglio si arriva alla conclusione secondo la quale occorre la nomina di una commissione “supra suspetione morbi”; il 9 novembre, una volta accertato il contagio, i Conservatori scelgono otto uomini che abbiano autorità in materia. L’emergenza sanitaria viene dunque presa nella giusta considerazione e, con il crescere dell’epidemia, una prima problematica da risolvere è quella della sepoltura dei cadaveri di persone morte per la peste, perché la presenza di un alto numero di cadaveri infetti entro uno spazio densamente abitato potrebbe causare problemi molto seri. Così, il 4 febbraio il comune fa realizzare due sepolture «per la cagione de sotorare morti de morbo» nella chiesa di San Leo, alla sinistra dell’ingresso. La chiesa è molto vicina al centro della città, all’incrocio fra le attuali via Rosina Gennaioli e viale Michelangelo, nella zona di Porta del Castello; il 27 aprile vengono sospese le attività didattiche e il Comune vieta al maestro della scuola pubblica, frate Pascasio, «che conto del morbo non tenesse scola finché durasse la peste, et fosse obligato a remectere il tempo, et che quando quel tempo non tenesse scola el comune paghi el pescione de la scola». I provvedimenti adottati (anche in questo caso, la raccomandazione principale è quella di restare in casa o di spostarsi il meno possibile) non riescono a far perdere forza al virus, tanto che si decide di costituire un’altra commissione e le disposizioni diventano più rigorose, anche sull’ingresso in città di persone provenienti da fuori. Insomma, nessun accesso dall’esterno e gente del posto obbligata a rimanere nella zona di residenza; le disposizioni in vigore lasciano intendere che la zona più colpita dalla peste sia quella di pianura a sinistra del Tevere; a coloro che sono affetti e che purtroppo hanno la morte nel loro destino, viene impartita l’estrema unzione con una successiva degna sepoltura. Assieme ai divieti fissati per impedire l’espandersi della peste, vengono potenziate le strutture sanitarie: sono diverse le confraternite operanti a Sansepolcro in quel periodo, che si ripartiscono le spese di pagamento dei medici; il contagio si allarga nel frattempo fra coloro che, per motivi di professione, non possono vivere ritirati e il dilagare della peste fa sì che i Magnifici Conservatori del Borgo si rivolgano ai religiosi perché preghino Dio per intercessione dei Santi Egidio e Arcano, affinchè l’epidemia cessi.

Il duplice voto

I Conservatori, insieme ai membri della Compagnia del Crocifisso, «hanno facto voto de remectere nella nostra ciptà et luogo et ordine de san Benedecto in luogo condecente, ove ci acorderemo, et mandare a Santa Maria de Loreto uno stendardo con la nostra insegna del Sepolcro in dono, in memoria de la gratia ricevuta». Il voto, dunque, è duplice e consiste nella riapertura di un monastero camaldolese – dopo che nel settembre 1520 era stato soppresso quello antico, a seguito della istituzione della diocesi – e nell’invio di uno stendardo al santuario di Loreto. È proprio la formulazione di questo duplice voto (18 luglio 1523) a determinare la realizzazione della tavoletta. Il 2 novembre 1523 i nuovi commissari si riuniscono con i Conservatori, rinnovano i custodi delle porte principali e stabiliscono che i priori della Fraternita e delle Laudi di Santa Maria della Notte debbano fornire le case degli infetti di qualsiasi cosa abbisognino e vietano il commercio di panni ai mercanti che non lo esercitassero già «innanzi al morbo». Il 23 gennaio 1524, i Conservatori e i Dodici destinano 40 ducati d’oro alla commissione incaricata di trovare un luogo da assegnare ai camaldolesi e stabiliscono di assegnare una pensione a vita all’attuale rettore del beneficio che sarà assegnato loro. Nel marzo del 2024, Conservatori e commissari adottano provvedimenti molto restrittivi: chiudono i confini del contado, che dovranno essere presidiati da guardie comandate da un commissario «nei luoghi sospetti» verso Città di Castello, Citerna e Lamoli, quindi ai confini esterni della Repubblica. Inoltre, viene impedita a chiunque l’uscita dal contado senza licenza del capitano fiorentino, dei Conservatori e dei soprastanti, sotto pena di 4 ducati (che andranno per metà al capitano e al suo ufficiale, per un quarto all’accusatore che dovrà rimanere segreto e per un altro quarto all’ufficio per le spese correnti a motivo della peste) e di 4 tratti di corda. Il problema, dunque, è così grave che si favorisce la delazione, pur di avere informazioni e per punire i contravventori non si disdegna il ricorso a multe onerose e forme di tortura come il tratto di corda. Vengono inoltre chiusi tutti gli ospedali della città e del territorio, dai quali i degenti dovranno essere espulsi il 4 marzo; ai poveri forestieri dimoranti in città e di età superiore ai 18 anni, tanto uomini che donne, è vietato uscire dalle mura per qualsiasi ragione, incluso portare legna o elemosinare sotto la stessa pena di 4 ducati e 4 tratti di corda, aumentata dalla fustigazione per tutta la città e dal bando dal contado per dieci anni. I divieti diventano sempre più restrittivi: il 13 ottobre 1524 vengono adottati ulteriori provvedimenti di divieto di residenza in città e nel contado nei confronti di persone entrate senza permesso e di reclusione domestica per coloro che le hanno ospitate; il 18 ottobre è stabilito che tutti i forestieri entrino in città soltanto da Porta del Castello; il 20 novembre vengono presi provvedimenti per impedire contatti con gli uomini di Cospaia, i quali si recano nel contado di Città di Castello «ove è suspecto de morbo»; il 13 dicembre i Conservatori e i soprastanti la sanità impongono un pagamento straordinario per la custodia dei confini e delle porte, a motivo della peste, al Comune, alla Fraternita di San Bartolomeo, alla Società delle Laudi, alle società di Santa Maria della Misericordia e di Santa Croce e alla Società di Sant’Antonio. Anche le manifestazioni vengono cancellate: per esempio, il 26 marzo 1525 è sospesa la fiera di San Lazzaro, «per questo anno e questa volta tanto per suspecto de la peste». Le commissioni sulla sanità vengono costantemente rinnovate e gli interventi sulla salute pubblica proseguono anche nel 1526 e nel 1527. Il 13 luglio 1526 i soprastanti, riuniti insieme ai Conservatori nella loggia dell’orto della Residenza, cioè in uno spazio aperto, decidono l’istituzione di una condotta per il mese di agosto per un medico della peste per estrarre sangue, praticare «impiastri» e medicare ogni persona per un salario di 8 ducati d’oro, di cui 4 anticipati. Accetta l’incarico maestro Francesco «dal Panieri», con la clausola che, se morisse durante il servizio, gli otto ducati siano dati a sua moglie e ai suoi figli e che, se necessario, possa essere prorogato di altri due mesi, per i quali riceverà un salario di 10 ducati complessivi. Il giorno seguente, gli stessi organismi deliberano che chi si ammalerà di qualsiasi malattia fuori della città, nel contado o fuori di esso, possa entrare in città o nei borghetti, o condurvi bestiame, senza espressa licenza. Per le sepolture, vengono scelte due chiese per ciascuna delle due parti, corrispondenti agli attuali rioni di Porta Romana (Parte di Levante) e Porta Fiorentina (Parte di Ponente), ognuno dei quali raggruppa due quartieri. Nel 1523 era stata seguita proprio la ripartizione per quartieri individuando quattro chiese, ma è probabile che a questo punto il numero dei morti sia inferiore a motivo della riduzione della popolazione causata sia dall’elevata mortalità degli anni precedenti, sia dall’aumento del numero degli immuni per il fenomeno noto come “immunità di gregge”. Un segnale del rallentamento del contagio è dato anche dalla diminuzione dei provvedimenti a partire dalla tarda estate del 1527. L’11 agosto, i Conservatori e i soprastanti la sanità espellono dalla città la famiglia di Cavalino («o per amore o per forza») e deliberano una tassazione straordinaria di 20 fiorini «pro subventione infectorum pestis et aliis rebus oportunis» nei confronti della Fraternita di San Bartolomeo, delle Laudi (6 fiorini ciascuna), delle società di Santa Maria della Misericordia, di Santa Croce (3 fiorini ciascuna) e Sant’Antonio (2 fiorini).

Il pellegrinaggio a Loreto

Nel momento in cui il contagio inizia a decrescere, in città viene recuperata l’idea del voto, ovvero del pellegrinaggio a Loreto: un’idea nata il 18 luglio 1523 e questo santuario era noto in tutta Europa già agli inizi del XV secolo per la protezione contro la peste; il 17 agosto 1527, i Conservatori e il gonfaloniere di giustizia stabiliscono di convertire i denari per il Palio di settembre per inviare lo stendardo. Probabilmente c’è chi ritiene questa offerta poco adeguata e vuole donare al santuario un oggetto prezioso e significativo, privarsi del quale rappresenterebbe un sacrificio della comunità e, come tale, sarebbe più gradito. Così il 30 agosto, sebbene abbiano già deciso di utilizza-

re i denari del palio per confezionare uno stendardo ad hoc, i Conservatori deliberano di inviare a Loreto, come stabilito in occasione della precedente moria senza poi dare esecuzione alla decisione, il gonfalone che si trova nella Residenza, «ad ciò che quella [cioè la Madonna] sempre guardi la nostra comunità da omni male». Chiaro quindi l’intento propiziatorio del pellegrinaggio per chiedere la protezione della Madonna. Ancora una volta la proposta rimane inattuata per cui, il 12 giugno 1528, i Conservatori e il gonfaloniere, vedendo aumentare la moria nella città e pensando che «sia per non havere observato ex voto già facto de mandare a Santa Maria de Loreto il nostro stendardo», decidono all’unanimità di inviarlo tramite Francesco di Benvenuto, membro della suprema magistratura cittadina, e un garzone, Cesco detto il Fratino, per una spesa di 4 ducati per la cavalcatura”. Il 14 giugno 1528, Antonio detto il Rosso di Picone consegna ai Conservatori e al gonfaloniere 80 bolognini e molti «argenti menuti» raccolti dalla Compagnia del Crocifisso in occasione della precedente pestilenza («per la moria passata») per portarli a Loreto insieme allo stendardo, sciogliendo così il voto. Il denaro e gli argenti vengono consegnati a Francesco di Benvenuto, «il quale va a Santa Maria de Loreto» per offrirli alla Madonna. Lo stesso giorno, i Conservatori autorizzano Francesco ad assentarsi dalla città per cinque giorni per andare a Loreto a portare il gonfalone. Finalmente, lunedì 15 giugno 1528 i due incaricati partono per la Marca di Loreto con 4 ducati, 80 bolognini, gli oggetti d’argento e il gonfalone. È dunque probabile – conclude Czortek – che la tavoletta dalla quale la ricerca ha preso avvio sia stata realizzata nel 1528, dopo lo scioglimento del voto, pur riportando la data della formulazione dello stesso. Altrettanto probabile che il sacerdote raffigurato presso il cataletto del malato non sia una figura immaginaria, ma rappresenti don Mario Berlenghi. Un’altra grave epidemia di peste, che si diffuse in tutta Italia, fu quella del 1630, che durò fino al 1632 e che coinvolse anche l’Alta Valle del Tevere, ma in quella circostanza Sansepolcro rimase praticamente fuori grazie ai provvedimenti adottati dal vescovo Filippo Salviati. Questa dunque la storia delle pesti a Sansepolcro, con riferimento particolare all’epidemia distante oramai mezzo millennio. Sui rimedi adottati con l’uso delle erbe non anticipiamo nulla: l’invito è quello di recarsi ad Aboca Museum per vivere un ferragosto di stampo anche culturale.

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