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Un cortometraggio sul Cretto di Gibellina per ricordare i 110 anni dalla nascita di Alberto Burri

Appuntamento agli ex Seccatoi di Città di Castello mercoledì 12 marzo. Un omaggio al maestro e alla sua più grande opera realizzata, poi completata nel 2015

Il doveroso omaggio a una persona che ha lasciato il segno. Il 2025 ricorda i 110 anni dalla nascita e allo stesso tempo i 30 dalla morte di Alberto Burri, considerato il più grande maestro dell’arte contemporanea o del Novecento, se preferite. Per l’esattezza, il trentennale della scomparsa, avvenuta a Nizza, è stato lo scorso 13 febbraio, mentre l’anniversario numero 110 dei natali cade il 12 marzo. Burri era nato nel 1915 in una Città di Castello che sta lavorando per omaggiarlo a dovere e per realizzare quello che era il suo sogno, ossia la piazza a lui intitolata. Mercoledì 12 marzo, nell’ambito delle attività in programma ai Musei della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, a partire dalle ore 17.30 negli ambienti degli ex Seccatoi del Tabacco–Museo Burri avrà luogo la proiezione del nuovo cortometraggio “Il Grande Cretto di Gibellina di Alberto Burri”, prodotto dalla Fondazione Burri a cura del professor Stefano Valeri, in occasione appunto del 110° anniversario della nascita del maestro. L’evento prevede la visione della pellicola e la visita delle collezioni presenti nel Museo in due distinti momenti: alle ore 17.30 su invito; alle 19 su prenotazione fino ad esaurimento posti. Per l’occasione saranno presenti Salvatore Sutera, sindaco di Gibellina; Maria Francesca Corrao, presidente Fondazione Orestiadi e una delegazione siciliana. Sarà inoltre possibile assistere gratuitamente alla proiezione nel fine settimana del 15 e 16 marzo alle ore 12, alle ore 15 e alle ore 16, sempre su prenotazione. Spazio alle scuole: la mattina di giovedì 13 marzo, spettatori del cortometraggio saranno gli alunni delle scuole superiori di Città di Castello.

Era medico, Alberto Burri, ma lo si ricorda universalmente per le sue particolari realizzazioni che tanto interesse continuano a suscitare per il messaggio in esse contenuto e per i materiali utilizzati. Laureato in Medicina nel 1940, Burri è stato ufficiale medico nel corso della seconda guerra mondiale e recluso nel “criminal camp” di Hereford, in Texas, dove ha iniziato a dipingere. Nel 1946 è tornato in Italia e nel ’47 ha tenuto la sua prima personale alla galleria “La Margherita” di Roma. Il primo sacco stampato, SZ1, è datato 1949 e l’anno successivo ha utilizzato per la prima volta il materiale logorato nei sacchi. Nel 1952 ha esposto per la prima volta alla Biennale di Venezia, presentando l’opera il Grande Sacco. Con le mostre di Chicago e New York del 1953 ha iniziato il grande successo internazionale, prima di realizzare nel 1954 piccole combustioni su carta e continuare a utilizzare il fuoco anche negli anni successivi con Legni (1956), Plastiche (1957) e Ferri (1958 circa). Gli anni ‘70 sono caratterizzati da una progressiva rarefazione dei mezzi tecnici e formali verso soluzioni monumentali, dai Cretti (terre e vinavil) ai Cellotex (compressi per uso industriale), mentre si susseguono le retrospettive storiche: Assisi, Roma, Lisbona, Madrid, Los Angeles, San Antonio, Milwaukee, New York, Napoli. Nel 1964, Burri si è aggiudicato il premio Marzotto e nel 1973 ha iniziato il ciclo dei Cretti e su questo filone è da collocare il sudario di cemento con cui ha rivestito i resti di Gibellina terremotata in un famoso esempio di land art. Nel 1976 Alberto Burri è stato autore (avvalendosi dell’aiuto “tecnico” del ceramista Massimo Baldelli) del “Grande Cretto Nero” esposto nel giardino delle sculture Franklin D. Murphy dell’Università di Los Angeles (UCLA). La Fondazione Burri in Palazzo Albizzini a Città di Castello è stata inaugurata nel dicembre del 1981 con una prima donazione di 32 pezzi delle opere del Maestro, esposte principalmente in due musei a Città di Castello. Il primo, a “Palazzo Albizzini”, ha una superficie di 1660 metri quadrati ed è appunto quello inaugurato alla fine del 1981; il secondo, ospitante i “grandi cicli pittorici” dell’artista, lo ha seguito nel 1990 ed è ubicato presso gli “Ex Seccatoi del Tabacco” di Rignaldello. Le opere dell’artista tifernate sono esposte in alcuni fra i più importanti musei del mondo: il Centro Georges Pompidou a Parigi, il Solomon R. Guggenheim Museum di New York, la Tate Gallery di Londra, la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, Il Castello di Rivoli (Torino), il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Burri – come ricordato – è morto a Nizza il 13 febbraio 1995, un mese esatto prima di tagliare il traguardo del suo ottantesimo compleanno.

La Fondazione e la futura piazza a lui dedicata a Città di Castello

È stato lo stesso artista tifernate a volere la costituzione della Fondazione Palazzo Albizzini “Collezione Burri”. La data è quella del 27 febbraio 1978, con il riconoscimento attraverso il decreto del presidente della giunta regionale dell’Umbria. Tuttavia, prima dell’apertura al pubblico sono dovuti trascorrere circa 4 anni: era infatti il dicembre del 1981 quando ciò è avvenuto e adesso in quelle meravigliose sale dell’edificio tifernate si possono ammirare circa 130 opere che abbracciano il periodo 1948-1989. Nel luglio del 1990, taglio del nastro per gli Ex Seccatoi del Tabacco di Rignaldello, dove si possono ammirare 128 opere che vanno dal 1970 al 1993. Presso la Fondazione sono allestite: la biblioteca, ricca di materiale relativo all’arte moderna e contemporanea; la fototeca, che raccoglie tutta la documentazione riguardante l’opera di Alberto Burri e l’archivio, che conserva un’esauriente bibliografia sull’artista. Il ruolo della Fondazione è specificato nello Statuto: l’istituzione opera per gestire e conservare l’esposizione permanente delle opere dell’artista e “per promuovere gli studi sull’arte del Maestro e la sua collocazione nel tempo”.

Il “Grande Cretto” quale memoria della vecchia Gibellina

Gibellina, Comune della Sicilia in provincia di Trapani che oggi conta poco più di 3650 abitanti, resta e resterà l’emblema del tremendo terremoto del Belice, risalente a 57 anni fa. Le due forti scosse del 14 e 15 gennaio 1968 distrussero il piccolo centro del paese, che ora è stato ricostruito a 11 chilometri di distanza in linea d’aria, tanto che viene anche chiamato Gibellina Nuova. Al posto del vecchio centro martoriato dal terremoto c’è il Cretto, opera di “land art” che ha per autore Alberto Burri e che, anche per questo motivo, è valsa a Gibellina la proclamazione di “Capitale italiana dell’arte contemporanea” 2026. È la prima città italiana a fregiarsi di questo titolo. “Cretto di Burri”, “Cretto di Gibellina” e “Grande Cretto”: con queste denominazioni è conosciuta la più grande opera di Alberto Burri, che iniziò a lavorarvi nel 1984, cioè 41 anni fa, anche se poi l’inaugurazione è avvenuta nel 2015, quando il maestro di Città di Castello era morto già da 20 anni. L’ispirazione venne a Burri durante un suo viaggio a Gibellina proprio negli anni ’80: a lui non piacque il nuovo paese e si fece accompagnare fra le rovine di quello vecchio, che gli suggerì subito di metterci del suo. Burri era assieme all’architetto Alberto Zanmatti, incaricato dal sindaco di occuparsi della questione; l’artista tifernate – rimasto colpito dal luogo trasformato in ammasso di ruderi – decise di compattare le macerie con il cemento armato per creare un grande cretto bianco a ricordo di quel terribile sisma. D’altronde, i cretti – cioè le grandi incisioni – sono stati la “specialità” di Alberto Burri, che in Sicilia ha creato un labirinto sopra queste macerie, composto da 80mila metri quadrati di cemento che ricostruiscono vie e vicoli della vecchia Gibellina. Le fratture e la sagoma del vecchio paese sono visibili soprattutto dall’alto: 80mila metri quadri di cemento bianco e detriti che raccontano la storia di una città scomparsa dalle cartine geografiche. L’opera è stata realizzata tra il 1984 e il 1989, ma non completata e Burri non ebbe modo di vedere concluso il suo progetto perché – come ricordato – morì nel 1995. È stata allora la Regione Sicilia ad assumersi l’impegno di proseguire la sua opera, completandola nel 2015 e rispettando fedelmente il progetto originario. Nel corso degli anni, molto si è discusso sulla questione nodale: il Cretto di Burri è un’opera d’arte unica, oppure uno scempio al paesaggio? È bene comunque tenere presente che il cemento è stato adoperato assieme alle macerie – mai raccolte – degli edifici crollati. Poi, ognuno è libero di esprimere la propria opinione. Il luogo è sede di servizi di alta moda e delle Orestiadi, in estate, trasformandosi in teatro di tragedie greche e rappresentazioni teatrali.

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