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Trasformazioni sociali, mutamenti linguistici e radicamento del dialetto tifernate

Come, rispetto ad altri centri dell’Alta Valle del Tevere, Città di Castello ha mantenuto la sua parlata

Trasformazioni della società che hanno cambiato il modo di parlare

Riprendendo il ragionamento avviato in un precedente articolo, nella seconda metà del secolo scorso – contrariamente a quanto avvenuto a Città di Castello e in alcune aree ad essa contigue – il modo di parlare di molti abitanti dell’Alta Valle del Tevere è cambiato in maniera piuttosto significativa. Sopratutto dagli anni ‘60 in poi, certi usi linguistici (come quelli riportati a titolo esemplare nella precedente uscita) sono fortemente regrediti in diversi comuni sia della Valtiberina toscana che dell’Altotevere umbro.

A Sansepolcro, ad esempio, mettendo a confronto la parlata di persone appartenenti a diverse classi anagrafiche si può in primo luogo capire quanto sia cambiato il modo di esprimersi: al netto delle micro-varietà locali e delle diverse condizioni socio-culturali, gli anziani tendono ancora a mantenere un sistema vocalico molto simile a quello tifernate, mentre tutti gli altri hanno ormai recepito quello proprio dell’italiano.

Italiano regionale e crescente influenza dell’aretino

Negli ultimi decenni del secolo scorso alcune abitudini linguistiche della Valtiberina sono probabilmente state soppiantate dalle influenze toscane e aretine che hanno avuto un certo effetto polarizzante. Ma perché gli abitanti di alcune zone della piana del Tevere hanno cambiato il proprio modo di parlare mentre altri, come i tifernati, no? Considerando il periodo storico in cui ciò è avvenuto (dagli anni ‘60 in poi) forse non è fuori luogo supporre che le trasformazioni socio-economiche e culturali proprie di quel periodo – inurbamento, scolarizzazione, mutamento degli stili di vita – abbiano incluso anche un cambiamento del modo di parlare. È, infatti, ormai abbastanza risaputo che alla base di certi mutamenti linguistici ci sia un diffuso atteggiamento volontario finalizzato ad acquisire prestigio e garantire una sorta di accettazione sociale.

In altre parole, per scrollarsi di dosso l’etichetta che poteva fino a quel momento continuare a contraddistinguere un individuo umile (come ad esempio un contadino), molti hanno iniziato a utilizzare un nuovo modo di parlare che, collocandosi a metà tra l’italiano standard e gli idiomi locali (ovvero il cosiddetto italiano regionale), meglio si identificava, almeno apparentemente, con un ceto medio che aveva già iniziato, d’altro canto, a trovare una discreta visibilità nei mezzi di comunicazione del tempo: in merito a ciò è sufficiente ripensare a certi prodotti cinematografici e format televisivi tipici degli anni ‘70 e ‘80 in cui a prevalere erano gli accenti romani o quelli del nord Italia.

Il radicamento del tifernate a Città di Castello

In questo periodo di grandi stravolgimenti in cui la lingua può esprimere il carico dirompente di certi processi, il dialetto tifernate (con le sue tante sfaccettature) non ha seguito la dinamica delle altre parlate valtiberine ed è rimasto, tutto sommato, abbastanza invariato. Ciò si può probabilmente spiegare ricorrendo a due ipotesi. La prima potrebbe essere riconducibile al radicamento di un modo di esprimersi che, essendo figlio di una lunga storia e interpretando – in maniera più marcata che altrove – il senso di una peculiare condizione geografica, ha saputo proteggere l’essenza del suo sostrato dalla persuasività di certe tendenze. La seconda, invece, potrebbe riallacciarsi al fatto che, a partire dal suo centro storico, la comunità di Città di Castello ha continuato a percepire sé stessa come termine di riferimento per tutti coloro che si trovavano tutti i giorni a interagire attivamente con il contesto sociale in cui erano inseriti. Di conseguenza, un po’ come accaduto ai romani, ai napoletani e ad altri, senza neanche troppo pensarci si è scelto di non disperdere la ricchezza semantica ed espressiva di un modo di comunicare che contribuisce da secoli a definire un luogo e la sua gente.

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