Si parla anche di Sansepolcro – e con uno spazio significativo – ne La marea nera. Origini e avvento del fascismo ad Arezzo e provincia,1915-1924 (Aska edizioni), il libro scritto da Salvatore Mannino, giornalista che per anni ha lavorato nella redazione centrale di Arezzo del quotidiano “La Nazione” e che ha ritrovato un interessante documento tra le carte della Mostra della Rivoluzione Fascista conservate nell’Archivio Centrale dello Stato. Questo documento è stato inserito nella seconda edizione del volume, che torna in libreria dopo vent’anni con un nuovo titolo, aggiornato nel testo e arricchito da un apparato iconografico di 27 foto d’epoca, ognuna accompagnata da una scheda esplicativa, che consente all’autore di allargare, sia pure per accenni, la ricerca fin dentro gli anni del Regime. Ecco quanto Mannino ha riportato alla luce:
“Troppa pasta glutinata”, chiosa sulla cronica indisciplina del fascio di Sansepolcro l’avvocato Giovan Battista Marziali, inviato in loco dalla direzione nazionale del Partito Nazionale Fascista nel settembre 1922 per un’inchiesta disciplinare interna. L’allusione, fin troppo facile da intuire, è al preponderante ruolo che nel fascismo biturgense delle origini svolge la famiglia Buitoni, in particolare Fosco, nipote dell’amministratore dell’azienda, Silvio. Dello squadrismo violento e becero furono protagonisti lo stesso Fosco – primo capo delle camicie nere della zona, per liberare il quale, dopo un arresto, si arrivò alla serrata del pastificio – e altri personaggi come Valerio Dindelli, di cui lo stesso Marziali segnala al vicesegretario nazionale del Pnf, Pietro Bolzon, la “spiccata capacità a delinquere”, o come Giovan Battista Gennaioli, che i carabinieri così descrivono: “Violentissimo, specie con i deboli… non ha mai concepito la politica se non come un mezzo per acquistare benessere materiale”.
Ma sarebbe troppo limitativo ridurre il fascismo di Sansepolcro a un fenomeno delinquenziale. Giova semmai sottolinearne i legami con la Buitoni dell’epoca, riconosciuti dallo stesso Marziali, che descrive il fascio locale come “monopolizzante fenomeno buitonista”. È un fascismo che in Valtiberina si manifesta come merce d’importazione a partire dall’aprile 1921, quando gli squadristi, in gran parte fiorentini, rivolgono la loro attenzione anche a questa vallata di confine, dopo aver conquistato Arezzo e bandito i dirigenti dei partiti “rossi” nella domenica del 10 aprile, quando viene ucciso in piazza San Iacopo il comunista Mario Ercolani a meno di un mese di distanza dai “fatti” del 23 marzo di San Giovanni e Castelnuovo dei Sabbioni, in Valdarno, che costarono la vita al capostazione Salvagno e a un dirigente della potente società mineraria, l’ingegner Agostino Longhi, due giorni prima della domenica di sangue del 17 aprile a Foiano, quando un’imboscata di militanti di sinistra agli squadristi e poi la violentissima rappresaglia fascista causarono ben 12 vittime, uno degli episodi di violenza politica più gravi del 1921 in tutta Italia.
Gli squadristi fanno la loro prima comparsa a Sansepolcro il 15 aprile, con una spedizione partita da Arezzo che ha lo scopo di ottenere le dimissioni della giunta socialista. Ma il sindaco Carlo Dragoni resiste, come tiene duro il deputato locale del Psi, Luigi Bosi. L’amministrazione comunale cadrà soltanto alla vigilia della Marcia su Roma. Viene invece costretta subito all’addio un’altra giunta rossa, quella di Anghiari, come poi cadrà sotto i colpi dell’offensiva fascista l’amministrazione dello stesso colore a Pieve Santo Stefano.
Anghiari diventa teatro anche di un altro gravissimo episodio di violenza politica, il 9 giugno 1921: una dozzina di squadristi giunge alla stazione della vecchia linea Arezzo-Fossato di Vico, che si trovava nella parte bassa del paese. I carabinieri cercano di trattenerli, ma i fascisti si dirigono verso il centro abitato. Li accoglie un’imboscata dietro una siepe, loro reagiscono sparando e uccidendo un militante comunista; un altro morirà poco più tardi a San Leo, colpito a sangue freddo. Due i feriti in fin di vita.
Ma enumerare tutti i drammatici, a volte tragici, fatti di violenza politica che Mannino ricostruisce nel suo libro, sarebbe troppo lungo, anche solo limitandosi alla Valtiberina. Basterà dire che il volume non è soltanto una cronistoria degli avvenimenti dell’epoca sulla base della documentazione d’archivio e della stampa del tempo, ma anche un tentativo di interpretazione del fascismo aretino, della sua base sociale, in particolare fra i ceti medi, dei motivi che lo condussero al potere, dei miti, dei riti e delle liturgie che lo trasformarono in una religione della politica, della lotta all’ultimo sangue fra il segretario provinciale Alfredo Frilli – voce del fascismo-movimento e della sua inclinazione populista – e il deputato fascista, poi sottosegretario alla pubblica istruzione, Dario Lupi, che vedrà la vittoria di quest’ultimo e del fascismo-regime di stampo conservatore, del quale è il più autorevole esponente locale.