Ricorre oggi l’anniversario morte di Pietro Besi, per tutti “Zillone”, l’ex pugile professionista di Sansepolcro molto conosciuto in città e non soltanto per il suo passato agonistico. Avrebbe compiuto 84 anni il 31 luglio successivo, e negli ultimi mesi le sue condizioni di salute si erano aggravate; il tempo di trascorrere la Pasqua assieme a Silvana, la compagna della sua vita e poi quel sabato sera l’epilogo di una vita che lui aveva impostato su allegria e positività, facendo leva su quelle che sono chiamate “piccole cose” ma che in realtà sono valori fondamentali: l’amicizia, l’affetto, la cortesia, la solidarietà e la voglia di stare assieme in armonia.
Ecco perché era amato nel suo Borgo, che per lui aveva tifato fino al 1973, quando a 33 anni decise di ritirarsi dal ring al termine di una dignitosa carriera iniziata che ancora era molto giovane: la trafila nelle varie categorie, il titolo toscano e l’ingresso nel ranking nazionale. Non era nato in un contesto facoltoso, Pietro Besi, quindi la boxe era un modo per migliorare la situazione sua e della sua famiglia. Il talento per il pugilato era stato scoperto quasi per caso negli anni ’50 e allora decise di andare avanti con determinazione e con la predisposizione al sacrificio. I risultati non tardarono ad arrivare: titolo di campione toscano e terzo posto nel ranking nazionale dei dilettanti, sotto la guida del manager Enzo Boschi. È il periodo nel quale a Pietro venne affibbiato l’affettuoso soprannome che lo renderà conosciuto ai più: Zillone, in base al colore verde della tuta che indossava e che richiamava a un piccolo insetto chiamato da queste parti “zilla”.
Nel 1960, è convocato con la Nazionale italiana per le Olimpiadi di Roma, in programma fra la fine di agosto e l’inizio di settembre; il pugile indicato per i pesi massimi (ogni nazionale ne ha uno per categoria) è Francesco De Piccoli, mentre Besi è la riserva, ma deve stare pronto a salire sul ring qualora il collega veneto non ce la facesse, in quanto ha problemi a una mano. All’ultimo istante, però, De Piccoli è disponibile – non solo, vincerà l’oro dei massimi – e allora il sogno dell’Olimpiade per Besi svanisce definitivamente, ma va avanti la sua permanenza a Roma, dove la Nazionale italiana divide la palestra degli allenamenti con quella statunitense, nelle cui file c’è un giovane alquanto promettente: si chiama Cassius Clay e sarà medaglia d’oro nei mediomassimi, prima di diventare “re” dei massimi. Proprio Clay indica in “Zillone” (lo chiamava semplicemente “Peter”) il suo sparring partner e allora Besi finisce con l’essere aggregato dagli Usa per permettere al campione in erba – che diverrà il più grande di tutti i tempi – di fare i guanti con la riserva italiana dei massimi.




Un capitolo della vita di Besi che finisce con il rivestire un’importanza pari a quella delle sue imprese agonistiche, non dimenticando l’amicizia che lo legava a un altro “mito” di questo sport: Nino Benvenuti, che era con lui (e che vincerà l’oro) nella stessa spedizione di Roma. “Zillone” si aggiudicherà poi il titolo italiano militare e rimarrà fra i dilettanti fino alla fine del 1964; il 15 novembre di quell’anno, nella riunione di Berlino e davanti a un pubblico infuocato, Besi supera ai punti il tedesco Hans Huber, che pochi mesi prima aveva conquistato l’argento alle Olimpiadi di Tokyo, battuto da colui che sarebbe diventato un altro mito mondiale della boxe: Joe Frazier. Una vittoria che gli vale il passaggio al professionismo, con esordio a Selci quaranta giorni più tardi, il 26 dicembre, e nuovo successo a spese dell’austriaco Friedrich Mayr.
La carriera da professionista di Pietro Besi è stata più che dignitosa: ha affrontato e sconfitto alcuni fra i più grandi pugili dell’epoca, come Patterson, Echevarria e Jacobsen, nonché gli italiani Dante Canè, Ermanno Festorazzi e Bepi Ros. La boxe lo aveva reso celebre anche sul grande schermo con la parte interpretata nel film “Un uomo facile”, ispirato alla vita del pugile Tiberio Mitri e lui ha recitato assieme a Giovanna Ralli, Maurizio Arena e Fosco Giachetti. Il cuore di Pietro è rimasto sempre a Sansepolcro: il vecchio cinema teatro Iris è stato il palcoscenico di numerose sfide anche memorabili, ma un incontro si è tenuto anche alla piscina Pincardini. In totale, Besi ha disputato circa quaranta incontri, di cui una trentina concluse con la vittoria.
Una volta chiusa la parentesi del pugilato, “Zillone” ha lavorato allo stabilimento Buitoni, poi per conto proprio e al volante del suo Fiat Ducato ha girato tutta l’Umbria, dove riforniva negozi di abbigliamento. Nel frattempo, un posto speciale nella sua vita lo aveva già occupato Silvana, la compagna della sua vita divenuta poi moglie: lui la chiamava affettuosamente “Lola” per dimostrarle tutto il suo affetto. Tifoso viscerale della squadra di calcio (il suo Ducato diventava ogni domenica il pullmino nel quale caricava i suoi amici per seguire la squadra bianconera in trasferta), si è impegnato anche nel volontariato e soprattutto è stato l’allegro amico di tutti. E tutti gli volevano bene, perché era una persona buona, simpatica e di gran cuore, con le sue battute sempre brillanti: questa l’immagine più bella di “Zillone” che vogliamo conservare.
L’amicizia era per lui il più sacro dei valori. A ogni compleanno con cifra tonda lui organizzava una festa speciale: per i 60 anni, nel 2000, al ristorante Fonte della Galletta, in cima all’Alpe Faggeta; per i 70 al ristorante “da Beppino” e poi per gli 80 una solenne conviviale alla presenza anche di rappresentanti istituzionali nella suggestiva location delle Piscine Pincardini, con i tavoli allestiti a bordo vasca. La sua straordinaria storia di vita è stata immortalata in un libro (“La leggenda di Zillone”, scritto da Monia Mariani con il sottoscritto che ha curato la parte agonistica), imperniato sulla storia di un uomo semplice che ha conquistato le vette del pugilato senza mai dimenticare le sue radici. Una seconda pubblicazione, dal titolo “La mia vita in un pugno”, raccoglie le foto più significative della sua carriera di pugile.
Negli ultimi tempi, le sue condizioni di salute si erano progressivamente aggravate, anche se lui ha lottato con le sue forze e con lo spirito positivo che lo contraddistingueva, sempre assistito dall’amata Silvana. Fino a quando la sera del 13 aprile 2024 non si è arreso; sentiva dentro di sé che oramai il tempo era per lui sempre più ridotto e si era raccomandato a tutti di non piangerlo il giorno della sua morte: voleva infatti essere ricordato con allegria, anche se la notizia della scomparsa finì inevitabilmente per creare un alone di grande tristezza. Una delle sue ultime volontà è stata esaudita il pomeriggio del funerale, lunedì 15 aprile: uscito dalla cattedrale, il feretro ha compiuto il giro di via XX Settembre davanti alla farmacia, dove era solito recarsi in pratica ogni giorno per la stretta amicizia con la famiglia Del Bolgia e con i professionisti dell’esercizio; lì ha raccolto l’applauso, poi prolungato anche nel tragitto da Porta Fiorentina fino al cimitero.
A distanza di un anno dalla sua morte, mentre Silvana conserva in casa i ricordi più belli del marito, è partito ufficialmente l’iter burocratico per l’intitolazione a Pietro Besi del palazzetto dello sport di Sansepolcro; promotori dell’iniziativa, che già era in mente fin dalla sua scomparsa, sono stati gli amici farmacisti Michele Del Bolgia e Marcello Meozzi, assieme all’avvocato Lucio Massimo Zanelli. L’auspicio è che ora il consiglio comunale si esprima con un consenso unanime, ma non abbiamo dubbi in proposito: Pietro lo merita per i risultati conseguiti, per il lustro che ha dato alla città, perché ha incarnato il sacrificio e la voglia di emergere in una disciplina molto dura, perché il palasport è oggi l’impianto simbolo per le riunioni di pugilato e perché “Zillone” è stato un personaggio ben oltre il suo passato sportivo. C’è già il piazzale del palasport intitolato al professor Pellico Barbagli (nella cui palestra peraltro Besi si allenava), altra figura che ha promosso in città la cultura dello sport, portando la pallacanestro e non solo: unire idealmente Pellico Barbagli e Pietro Besi sarebbe il miglior omaggio dal punto di vista “topografico” e affettivo alla zona degli impianti sportivi della città.