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Dazi, dogane e contrabbando tra Granducato di Toscana e Stato Pontificio

La trasformazione di un confine che tra Sette e Ottocento divenne una vera e propria frontiera

Particolare della “Pianta Geometrica del Territorio adiacente alle Dogane di S. Sepolcro e Monte Casale”

Come spiegato in un articolo precedente, in Alta Valle del Tevere quello che oggi è il confine regionale tra Toscana e Umbria un tempo separava due stati, di conseguenza, sia da una parte che dall’altra, a ridosso di tale limite si concentravano i controlli di coloro che dovevano vigilare sui flussi di persone e sulle relative merci trasportate. Come spiegato dal prof. Enrico Fuselli in diverse sue pubblicazioni, questo tipo di accertamenti veniva svolto nelle dogane da funzionari che si occupavano di rilevare l’identità degli individui in transito e di riscuotere, in base alle tipologie e alle quantità dei beni dichiarati o accertati, i dazi previsti.

Da un punto di vista storico, tale situazione si determinò sopratutto dalla fine del XVIII in poi, quando sia da Firenze che da Roma si iniziarono ad assumere provvedimenti che, nell’abolire definitivamente i dazi interni, iniziarono ad introdurne altri di tipo esterno, quindi da applicare in maniera uniforme soltanto lungo i confini con altri stati. Del resto in quel periodo tali imposte venivano viste non solo come un modo per produrre delle entrate per l’erario, ma anche come uno strumento per applicare delle politiche economiche ben precise: definendo per ogni merce l’entità delle gabelle, si potevano infatti favorire o scoraggiare certe produzioni interne, orientando il proprio sistema economico verso condizioni di protezionismo più o meno marcato. Lo Stato Ecclesiatico, ad esempio, cercò di sfavorire l’importazione di alcuni prodotti che però, a causa degli alti dazi, rischiavano così di entrare in maniera clandestina. Proprio il contrabbando fu, in entrambi i versanti, il fenomeno che, sempre alla fine del Settecento, contribuì a rafforzare i controlli attraverso un maggior impiego di uomini e l’istituzione di dogane: in particolare, dopo la sottoscrizione di un nuovo trattato tra Granducato e Stato Pontificio, di fatto il confine tra i due stati divenne una vera e propria frontiera che poteva essere attraversata, sia in una direzione che nell’altra, soltanto attenendosi ai quadri normativi di riferimento. In conseguenza di ciò i valtiberini che fino a quel momento avevano convissuto abbastanza serenamente con i confini che solcavano il loro territorio, iniziarono a soffrire le nuove limitazioni imposte.

Dai crinali che dividono longitudinalmente l’Appennino (dove ancora oggi si trova il confine tra Toscana, Marche e Umbria), fino alle colline che segnano il limite meridionale della piana, l’Alta Valle del Tevere iniziò ad essere tagliata da una linea che era ambo le parti scandita da edifici doganali entro i quali si effettuavano i controlli sopra descritti. Tutti coloro che avessero voluto attraversare la frontiera con delle merci avrebbero dovuto percorrere obbligatoriamente soltanto le strade in cui erano ubicate le dogane, così da poter pagare i rispettivi dazi in entrata e in uscita. Addirittura sia il Granducato che lo Stato Pontificio avevano individuato una fascia di divieto entro la quale le merci potevano muoversi soltanto se accompagnate da specifica bolletta rilasciata dalla dogana più vicina. Tutti coloro che avessero percorso altre strade, attraversato il confine di nascosto, o fatto dichiarazioni mendaci, avrebbero rischiato sanzioni molto pesanti. Sempre come riportato da Fuselli, oltre alle varie denunce e sanzioni non mancarono episodi di inseguimenti, o di scontri tra contrabbandieri e funzionari delle dogane, con quest’ultimi che talvolta si ritrovavano a descrivere, nei verbali, le condizioni di grande avversità in cui si trovavano ad operare, dato che i traffici illeciti erano, sia nello spazio che nel tempo, difficili da intercettare.

Nonostante tali vicende, il rapporto tra i doganieri e i contrabbandieri è alquanto difficile da interpretare, visto che in alcuni casi gli uni si ritrovavano ad operare fisicamente molto vicino agli altri: ciò è stato riscontrato a Fighille, dove la base logistica di coloro che si dedicavano ai traffici illeciti era ubicata a pochissimi metri dall’edificio doganale (l’attuale sede del Piccolo Museo dedicato all’arte contemporanea). Questa prossimità può probabilmente essere spiegata dal fatto che da vicino fosse, probabilmente, più facile studiare i movimenti dei controllori e capire quali fossero i momenti migliori per attraversare il confine senza pagare imposte. Allo stesso tempo, l’incredibile vicinanza lascia però anche emergere il sospetto che talvolta potesse instaurarsi una sorta di connivenza simbiotica tra le due parti.

Il lato meridionale e quello orientale dell’edificio che a Fighille era adibito a dogana pontificia (nella foto a destra si può notare l’ingresso del Piccolo Museo).

Nel complesso, l’irrigidimento dei limiti sopra descritti, inizialmente riguardò molto di meno il tratto di confine in cui tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio si frapponeva la Repubblica di Cospaia. Dopo il 1826, cioè dopo la soppressione del piccolo stato, tale situazione cambiò drasticamente: da quella data in poi, nel punto attraverso il quale dal Granducato si entrava in quello che precedentemente era un territorio neutro, fu istituita la dogana più importante di tutte le altre, ovvero quella che, quasi per antonomasia, dà ancora oggi il nome al primo lembo di Umbria che si incontra oltrepassando il confine regionale.

Nel prossimo articolo questo tema sarà ripreso e approfondito con una rassegna delle antiche dogane granducali.

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