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Diga di Montedoglio e sismicità

Qual è l’effettivo livello di sicurezza dell’opera?

Lo sbarramento della diga a metà maggio 2024

La Valtiberina è un territorio particolarmente sismico, tanto che negli ultimi mille anni si sono verificati ben cinque terremoti con una magnitudo superiore ai 5,8 gradi della scala Richter: l’intera valle del Tevere è infatti “tagliata”, prevalentemente in maniera longitudinale, da alcune faglie che tendono a seguire parallelamente l’orientamento del fiume. Sul bordo settentrionale ne sono state individuate due, una più a monte e una più a valle (che poi prosegue anche oltre il confine regionale), conosciute come faglie di Sansepolcro. Nella parte meridionale ne sono presenti diverse altre, le cui due principali si ricongiungono, di fatto, in un’unica linea che va dall’abitato anghiarese della Motina fino a Città di Castello; proprio per la vicinanza dei due centri cittadini queste sono rispettivamente indicate con le denominazioni di faglia di Anghiari e faglia di Città di Castello.

Faglie Valtiberina

In questo particolare contesto tettonico in cui i terremoti rappresentano una presenza costante, insiste l’invaso artificiale più grande del centro Italia. Mettendo in relazione queste semplici due constatazioni la domanda non può che sorgere spontanea: in caso di forti terremoti, la diga di Montedoglio subirebbe danni?

Per rispondere a questo quesito bisogna innanzitutto premettere che gli eventi sismici che potrebbero generare problemi significativi allo sbarramento di Montedoglio sono quelli che vengono ritenuti in grado di produrre deformazioni e dislocazioni della superficie del terreno in  prossimità di essa. In altre parole, di tutti i terremoti soltanto quelli associabili ad una faglia attiva e capace, cioè sostanzialmente in grado di generare rotture fino agli strati superficiali, potrebbero produrre evidenti conseguenze negative sul terrapieno di Montedoglio, la cui base ha una larghezza complessiva di 260 m.

Premesso ciò, è dunque indispensabile capire se nelle immediate vicinanze della diga possa esserci o meno una faglia di questa tipologia. Osservando la carta del catalogo ITHACA sembra proprio che l’area in cui è stata realizzata l’opera sia attraversata da una faglia che, pur apparendo secondaria, risulterebbe essere attiva e capace. Tuttavia, nonostante tale indicazione sommaria, le informazioni del data-base associate ad essa sono alquanto carenti e approssimative: la frattura è stata infatti segnalata in seguito a sopralluoghi che qualche decennio fa avevano individuato affioramenti dai quali sembrava attestabile la presenza di una faglia che, peraltro, sembrava proprio tagliare in due il corpo diga in prossimità della sua spalla di destra (ovvero nell’estremità settentrionale dello sbarramento).

Al fine di fare chiarezza attorno a questa presunta faglia, nel triennio che va dal 2019 al 2022 è stato effettuato, su richiesta dell’EAUT, uno studio di approfondimento coordinato dal prof. Paolo Boncio del Dipartimento di Ingegneria e Geologia dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. Il gruppo di lavoro che ha condotto le indagini sismiotettoniche, morfotettoniche e paleosismologiche – oltre che i rilevamenti geologici, strutturali e geomorfologici di dettaglio – ha concretamente prodotto dati che oggi consentono di affermare che, al contrario di quanto evidenziato dalle precedenti indicazioni di massima, lungo la stretta di Montedoglio non si riscontra la presenza di una faglia attiva e capace, ma quella di un sistema di segmenti discontinui del substrato ofiolitico, ereditato da deformazioni compressive dell’Appennino. In altri termini, seppur inserita in un contesto sismico particolarmente dinamico, lo studio ha escluso la possibilità che l’area della diga possa essere interessata direttamente da una fagliazione superficiale. Il pericolo più temuto può quindi, a questo punto, essere escluso.

Faglie e sistema Montedoglio

Come spiegato dal prof. Boncio durante il Convegno su Montedoglio che si è tenuto a Sansepolcro lo scorso 29 novembre (qui l’intervento integrale), lo studio si è soffermato anche sulla cosiddetta pericolosità da fagliazione secondaria che potrebbe generarsi dalla vicina faglia di Anghiari che dista circa 1,5 km dallo sbarramento: attraverso un’accurata indagine specifica è stato infatti rilevato che quest’ultima è certamente da considerare una faglia attiva e capace, dato che ad essa sono associabili almeno cinque forti eventi sismici che hanno portato alla rottura degli strati superficiali del terreno negli ultimi 25.000 anni (il più recente di questi è il terremoto del 1458, ricordato come uno dei sismi più distruttivi dell’ultimo millennio). Dai dati emersi da questa seconda fase di analisi è stato sviluppato uno studio probabilistico che, prevedendo rotture secondarie con valori massimi di 1 centimetro e tempi di ritorno di 10.000 anni, quantifica un rischio effettivo che per il terrapieno dell’invaso risulta essere talmente ridotto da rientrare ipoteticamente persino entro gli standard che, ad esempio, in relazione al rischio di rottura della superficie topografica, negli USA consentirebbero di utilizzare il sito per lo stoccaggio di scorie nucleari.

In definitiva, nonostante la comprovata sismicità del territorio valtiberino, in caso di forti terremoti la diga di Montedoglio – almeno per ciò che riguarda la pericolosità localizzata della fagliazione superficiale – non sembra essere significativamente esposta al rischio di danneggiamenti che potrebbero mettere drasticamente a repentaglio la sicurezza dell’opera.

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