La principale particolarità dell’Alta Valle del Tevere è legata a una condizione territoriale che si rifà storicamente alla presenza di un confine umano che da secoli divide uno spazio che la natura avrebbe evidentemente concepito in maniera unitaria. L’origine di tale separazione è certamente antica, se si considera che quest’area è stata – più o meno da sempre – abitata, e talvolta contesa, da popoli diversi: a partire dalla simultanea presenza di Umbri ed Etruschi, poi Bizantini e Longobardi, fino ad arrivare alla ripartizione in zone di influenza che ricalcavano i domini politici e territoriali di città contrapposte, quindi di diverse entità spaziali.
Il momento storico in cui, tuttavia, tali limiti hanno trovato una definitiva consacrazione formale è indubbiamente quello che si lega alla Battaglia di Anghiari del 29 giugno 1440: dopo che la coalizione di fiorentini, pontifici e veneziani ebbe la meglio sui milanesi, la piana del Tevere fu divisa in due, con Sansepolcro che inizialmente fu assegnata allo Stato della Chiesa. Soltanto l’anno successivo la città pierfrancescana fu ceduta dal Papa alla Repubblica di Firenze come pegno per la restituzione di 25mila fiorini d’oro.
Se si escludono alcune aree, come quelle di Cospaia e dell’attuale Comune di Monte Santa Maria Tiberina, da quel momento in poi i confini sono rimasti pressoché inalterati, imponendo dapprima una separazione di tipo statale e poi, dopo l’Unità d’Italia, amministrativa. Proprio a partire dall’anno che sancisce la nascita del Regno d’Italia, il 1861, a Città di Castello iniziò a prendere piede l’idea di incorporare il territorio tifernate in provincia di Arezzo. Da tempo la parte più settentrionale di quella che era la provincia dell’Umbria, ovvero l’area che oggi si identifica prevalentemente con il comprensorio altotiberino, lamentava una condizione di marginalità nei confronti del capoluogo perugino e, allo stesso tempo, percepiva come un intralcio il confine amministrativo che divideva la valle in due. Grazie anche alla presenza della neonata Buitoni, l’economia di Sansepolcro e degli altri comuni toscani dell’Alta Valle del Tevere stava vivendo una fase di espansione e questo contribuì sicuramente ad avvalorare questa prospettiva: come riportato nell’approfondimento di Olita Franceschini e Maria Grazia Moretti pubblicato nel periodico di storia locale “Pagine Altotiberine” (1861-1862. Storia di una tentata secessione, 1997), già a partire dal dicembre del 1861, un’istanza del Comune tifernate chiedeva esplicitamente di consolidare i rapporti politici ed economici con la “nobile e generosa Toscana”.
Dopo questo primo atto ne seguirono altri e persino il Consiglio Provinciale dell’Umbria si trovò a discutere, nel 1862, la proposta di innalzare Città di Castello al rango di capoluogo di circondario e includere la stessa in provincia di Arezzo (ciò si può riscontrare consultando La Provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870 di G. B. Furiozzi). Nel 1863 e nel 1866 fu la Giunta del Comune di Città di Castello a esprimersi in maniera analoga, ribadendo rispettivamente che le relazioni del territorio tifernate erano tutte rivolte verso i vicini comuni toscani, con i quali intercorreva un’unione che era figlia di “interessi comuni e comode vie di comunicazione”. Peraltro, in maniera simile, nel 1865 – quindi in un momento storico in cui si stavano definendo le circoscrizioni per le preture di mandamento – anche il Consiglio Comunale di Citerna si espresse in favore di un possibile passaggio in terra di Toscana.
Sia dentro che fuori le istituzioni, il dibattito sul passaggio di Città di Castello in provincia di Arezzo proseguì fino alla fine del secolo e in tutto questo lasso di tempo, come emerge da uno stampato del 1892, l’idea fu caldeggiata anche da Sansepolcro. Nonostante ciò, alla fine gli sforzi compiuti in questa direzione non produssero il risultato sperato e, di conseguenza, tutto rimase come era. Questo epilogo non giovò, dunque, al risanamento di una frattura che, soprattutto dopo l’istituzione delle regioni, si è sotto certi aspetti riacuita. Proprio in funzione di tale consapevolezza, potrebbe forse essere sensato pensare che questa vicenda storica, con tutte le azioni politiche e istituzionali ad essa collegate, possa ancora oggi fornire spunti per promuovere, almeno sul piano funzionale, un rinnovato modello di interazione tra la Valtiberina Toscana e l’Altotevere umbro.