Sono trascorsi 25 anni esatti dalla morte di Amintore Fanfani, il politico di maggiore rilievo che hanno avuto la Valtiberina e la provincia di Arezzo. Era il 20 novembre 1999, un sabato: Fanfani avrebbe compiuto 92 anni di lì a poco, il 6 febbraio di un 2000 che lui non ha visto per poco più di 40 giorni, anche se resta uno dei grandi protagonisti della vita politica nazionale del XX secolo; un autentico statista, prima ancora che un autorevole esponente della Democrazia Cristiana. Lui stesso amava definirsi tale, e l’immagine lasciata ai posteri è stata quella di un uomo dalle indubbie capacità e dalla raffinata intelligenza, che si combinavano con la sua bassa statura fisica e le bretelle indossate, elemento distintivo del suo look.
Un uomo che ha fatto della moralità, della coerenza intellettuale e del rigore le linee guida della sua vita: basterà ricordare quanto avvenne trenta e più anni fa con lo scandalo di Tangentopoli; ebbene, il suo nome non venne assolutamente citato, a riprova della totale estraneità. Gli è mancato soltanto il Quirinale, ovvero l’elezione a Presidente della Repubblica; per il resto, il professore universitario di Storia Economica e Storia delle Dottrine Economiche, nato a Pieve Santo Stefano e trasferitosi poi ancora bambino a Sansepolcro (era il maggiore di dieci figli, proveniente da una famiglia di umili origini), ha rivestito tutte le cariche istituzionali dello Stato e ruoli di primo piano anche nel partito dello “scudo crociato”. Il tutto, nel mezzo secolo compreso fra il 1945 e il 1995.
Economista, politico, statista, saggista e anche artista, perché Fanfani amava dipingere: c’è anche e soprattutto il suo contributo nella rinascita di un’Italia passata dalle macerie della guerra agli anni del benessere. In nome della sua onestà, ha vinto e perso battaglie importanti (ricordiamo il referendum sul divorzio del 1974) senza però mai cadere; anzi, era capace di tornare alla ribalta, tanto da beccarsi il famoso appellativo di “Arieccolo”.
Cinque volte a capo del governo, con un record
In pochi vantano il suo curriculum: cinque volte presidente del Consiglio dei Ministri fra il 1954 e il 1987, con il singolare record di essere stato il più anziano capo del governo della Repubblica Italiana; l’ultima volta è stato nominato all’età di 79 anni e 6 mesi. Per tre volte, poi, è stato presidente del Senato e fra i ministeri ricoperti ci sono quelli degli affari esteri, dell’interno, del lavoro (con a capo del governo Alcide De Gasperi) e del bilancio e della programmazione economica. Sempre eletto alla Camera dal 1946 al 1968 nel collegio Siena-Arezzo-Grosseto, dal 1972 fino al giorno della sua morte è stato senatore a vita.
Sul piano strettamente politico, è stato sia uno dei fondatori, sia il segretario politico (due volte), sia il presidente della Democrazia Cristiana. Fanfani è stato anche presidente dell’Assemblea delle Nazioni Unite, autentico privilegio per un italiano. Un “cavallo di razza” della politica italiana, che assieme ai colleghi Aldo Moro, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat e Ugo La Malfa ha creato all’inizio degli anni ’60 il centrosinistra, svolta epocale per allora; la Democrazia Cristiana ebbe quindi al governo la collaborazione del Partito Socialista ed era stato proprio Fanfani a convincere la Chiesa e gli Stati Uniti sul fatto che l’ingresso dei socialisti non avrebbe compromesso la democrazia italiana, ma avrebbe contribuito ad accelerare il cammino riformista del Paese.
Da presidente del Consiglio, Fanfani si è reso autore di operazioni chiave: la nazionalizzazione dell’energia elettrica, il varo della scuola dell’obbligo e l’avvio di una serie di importanti riforme sociali. Quando nel 1993 si è chiusa la gloriosa pagina della Democrazia Cristiana, lui ha fatto la propria scelta da militante, aderendo al Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli, lavorando per una sua collocazione nell’ambito del centrosinistra e ribadendo quindi come le questioni di principio debbano sempre stare davanti a quelle di comodo. Di Fanfani è poi la formula che “apre” la Costituzione della Repubblica Italiana, ovvero la frase dell’articolo 1 oramai da tutti memorizzata: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Il 2 giugno del 1946, era stato eletto deputato alla Costituente per la Dc, entrando nella “commissione dei 75” che avrebbe redatto appunto la Costituzione della neonata Repubblica Italiana.
Si deve ad alcuni “franchi tiratori” del suo partito la mancata elezione a Presidente della Repubblica nel dicembre del 1971, quando al termine del 23esimo scrutinio – il giorno della vigilia di Natale – fu proclamato Giovanni Leone. È passata persino alla storia la frase che un elettore scrisse sulla scheda a suo indirizzo: “Nano maledetto, non sarai mai eletto”. Fanfani precisò che se non fosse risultato eletto al sesto scrutinio, si sarebbe ritirato e così andò. Al settimo scrutinio, in un’altra scheda venne scritto: “Te l’avevo detto, nano maledetto, che non venivi eletto”.
La “gobba” di Arezzo e la Forestale di Pieve
Sul piano politico, restano memorabili anche le diatribe con il Partito Comunista Italiano, che lui preferiva combattere più con i fatti che con le parole, quindi con la concretezza. Da ministro, ha lasciato la sua impronta nell’economia e nel processo produttivo potenziando l’industria, ridando vita all’agricoltura e varando il piano a sostegno dell’edilizia popolare; il tutto a favore dell’occupazione. Il segno più tangibile rimane appunto il “piano Fanfani” del 1949, gestito da Ina Casa, che nell’arco dieci anni ha garantito un’abitazione a circa 400mila famiglie di lavoratori.
In ambito più prettamente locale, osservando una normale carta geografica con tanto di infrastrutture, balza agli occhi l’altrettanto famosa “gobba” all’altezza di Arezzo, chiamata anche “curva Fanfani”: l’asse autostradale e ferroviario Orte-Firenze subisce a un certo punto una vistosa curvatura a forma appunto di gobba per lambire e raggiungere Arezzo. Lo stesso Fanfani, da presidente del consiglio dei ministri, disegnò il tracciato con la matita. Nella sua Pieve Santo Stefano, oltre alle case Ina che si trovano sulla sponda destra del Tevere per chi arriva in paese da Sansepolcro, Fanfani si adoperò per farne il punto di riferimento nel settore forestale, attraverso un’altra figura cardine che in quel periodo lavorava a Roma: l’ingegner Alberto Maria Camaiti, funzionario anche lui pievano e direttore per l’economia montana e delle foreste, che tornò nel suo paese su invito dello stesso Fanfani.
Camaiti è stato sindaco di Pieve e, grazie agli aiuti giunti dalla Capitale, il paese della Valtiberina cominciò a rialzare la testa, diventando sede sia dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, impegnata nel rimboschimento di monti che erano poveri di vegetazione; sia del vivaio forestale più grande d’Italia; sia della Stazione del Corpo Forestale dello Stato per la custodia dei boschi e la loro salvaguardia dagli incendi e poi, nel 1961 anche dell’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura – comprensivo del convitto – dal quale sono usciti migliaia di dirigenti della politica agricola e forestale nazionale, provenienti da tutta Italia, che a Pieve hanno studiato e conseguito il relativo diploma. E oggi, ad Amintore Fanfani e ad Alberto Maria Camaiti è intitolato l’intero istituto comprensivo di Pieve.
Accanto a Pieve, la sua città adottiva, Sansepolcro, alla quale era molto affezionato e dove ha continuato a vivere con la famiglia uno dei suoi fratelli, l’avvocato Ameglio: in periodi nei quali la contrapposizione politica era forte, con i comunisti che amministravano il Borgo il rapporto non era dei migliori. Così almeno si sosteneva e si era parlato anche di accoglienze poco simpatiche in una delle sue tante visite alla città, che però si sono rivelate pure leggende metropolitane; anzi, diciamo che lui ha aiutato anche Sansepolcro e che in fondo la conflittualità politica era più di facciata che effettiva. Seppure con un ritardo colpevole, Sansepolcro gli ha conferito la cittadinanza onoraria il 29 giugno 1991, quando Fanfani aveva già 83 anni, ma la sua dimostrazione dell’affetto verso la comunità biturgense la dette durante la lettura della motivazione in sala consiliare, quando non ce la fece a trattenere le lacrime. Anche l’uomo rigoroso con sé stesso, prima che con gli altri, quella volta si sciolse: evidentemente, era stata una gratificazione rilevante per lui.
Coerenza e rifiuto del nepotismo
La coerenza sopra ogni altra ragione, a costo di incassare sconfitte, perché – come ebbe a dire lui stesso – determinate battaglie debbono essere combattute anche sapendo benissimo che sono perse in partenza. E lui era consapevole del fatto che così sarebbe andata 50 anni fa. Il riferimento è al già ricordato esito del referendum sul divorzio del 12 e 13 maggio 1974: lui era schierato per il “sì” all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini, che istituiva appunto il divorzio, ma quasi il 60% di una larga fetta di elettori italiani (l’87,72% degli aventi diritto) si espresse per il “no”. E la sua sconfitta politica divenne oggetto anche di satira con la storica vignetta di Giorgio Forattini dal titolo “Il tappo è saltato”, nella quale si gioca con la statura fisica di Fanfani, trasformato in tappo di spumante liberato dal collo della bottiglia.
Un aspetto che Fanfani combatteva era il nepotismo: non sopportava la sola idea che qualcuno sospettasse favoritismi da parte sua nei confronti di un parente. Fosse stato per lui, il conflitto di interessi non sarebbe esistito, perché non si sarebbero creati i presupposti per farlo esistere. Nei fine settimana in cui rientrava in Valtiberina da Roma, era solito visitare le sezioni di vallata della Dc, dalla più grande alla più piccola, perché per lui avevano tutte pari dignità. La pittura e la scrittura (ricordiamo il libro più conosciuto, dal titolo “Una Pieve in Italia”, dedicato al suo paese) erano gli hobby che completavano la vita di Amintore Fanfani, destinato a conservare il suo posto fra i grandi della politica italiana, proprio perché statista in primis proveniente dal mondo dell’economia. Un motivo di vanto per la Valtiberina, terra di tante peculiarità, ma – come ricordano spesso persone residenti in altre parti d’Italia – terra anche di Fanfani.