Musica locale anni 70: La Fusione ed altri complessi

Il ricordo del gruppo più rappresentativo (e di tanti altri) di un movimento musicale irripetibile

10 Luglio 2022
la fusione gruppo

Ci sono persone le quali, parlando con loro, ti fanno correre più in fretta sul filo dei tuoi ricordi. Una di queste recentemente è stata per me Andrea Franceschetti, stimato professore d’Italiano e latino al Liceo Scientifico di Sansepolcro oltre che apprezzato scrittore, dj, presentatore, cabarettista, cantante e quant’altro di creativo, il quale, a margine dell’intervista a lui effettuata, parlando della Valtiberina Toscana e dell’Altotevere Umbro ha definito la nostra zona come “primo tratto del percorso del Tevere baciato musicalmente da Dio”. Lui si riferiva principalmente all’attuale scena musicale che in qualche misura lo vede coinvolto e che effettivamente è molto viva e variegata nei tipi di musica prodotta tra eccellenze che vanno dalla classica e lirica al jazz, dal liscio al rock, dal pop al rap e trap, ma, ascoltando le sue parole, la mia mente è tornata ai tempi della mia giovinezza, quando, come tanti, provavo a cimentarmi nel canto da puro dilettante con tanto entusiasmo e poca conoscenza della tecnica.

Ed è proprio per approfondire la mia scarsa padronanza della materia che nelle sale da ballo dell’epoca (le discoteche erano di la da venire) mi soffermavo sotto il palco dell’orchestra ad osservare e ascoltare i gruppi, allora si classificavano alla voce “complessi”, che suonavano. Ripensandoci adesso mi rendo conto di quanto fossi fortunato: con i pochi soldi del biglietto d’ingresso potevo assistere all’esecuzione di musica completamente dal vivo e interagire con essa ballando, dal momento che i brani eseguiti erano funzionali alle danze, anche se... Anche se la scelta della scaletta era lasciata alla sensibilità degli orchestrali e la nuova generazione dei musicisti locali, pur con i compromessi richiesti dal far divertire le persone presenti, proponeva canzoni magari non propriamente ballabili ma, all’inizio degli anni 70, passata la “sbornia” del beat, la punta avanzata della musica era rappresentata da un lato dal nascente rock e dall’altra dal cosiddetto progressive (ma allora il genere andava sotto il nome di pop). Erano scomparsi i complessi che nella precedente generazione erano spuntati come funghi anche dalle nostre parti, quelli “beat”, che dalla metà degli anni 60 avevano caratterizzato la musica giovane della zona; parlo degli Angeli Neri e dei Cobra tanto per citare solo i più noti.

Quelle formazioni erano scomparse ma diversi dei loro componenti si erano riciclati in altri gruppi che avevano un repertorio più “canonico”, più adatto alle richieste musicali di un pubblico non soltanto giovane. Diverso, invece, il percorso di alcuni di loro, mi riferisco per esempio a Sergio Capaccioni, Gualtiero Zanchi ed Enzo Galvani, cioè ai tre quinti degli Angeli Neri, che con il cantante Elio Montalti avevano formato “I Pov”, ispirati dalle nuove sonorità alla Jimy Hendrix, e si erano lanciati in un’ avventura rock di corto respiro a causa del genere che, come ha scritto il loro ex collega Carlo Lorenzini “non trovava molto riscontro nei locali della zona”. Sul finire degli anni 60 fare solo “attrazione” per un gruppo era essere troppo avanti rispetto ai tempi.

La Mela Club: la novità musicale della Valtiberina

E proprio sul finire degli anni 60, esattamente nell’autunno del 1967, a Sansepolcro, un certo Sarti, imprenditore proveniente da Rimini, cercò di intercettare l’interesse dei giovani (e non solo) per la musica e il ballo. Nacque così “La Mela Club”, ubicato nei pressi del ristorante La Balestra in un capannone dove oggi si fanno revisioni auto; locale di successo pubblicizzato con un logo in stile “Flover Power” (ma con tanto di rassicurazione per le mamme delle ragazze) disegnato da Brunetto Brilli, pittore e in seguito realizzatore del presepe di S. Marta a Porta Romana.

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La Mela Club

La Mela monopolizzò i pomeriggi e le serate musicali dei fine settimana di Sansepolcro e di ampie zone limitrofe dell’Umbria e dell’aretino. Il gestore, per la prima stagione, fece le cose in grande, chiamando ad esibirsi (come gruppo da sala, allora non si faceva differenza fra intrattenimento e attrazione) a settimane alterne per tutto il periodo, “Le Orme”, il famoso gruppo veneziano allora agli esordi e in formazione a cinque e successivamente ingaggiando per diverse date altri gruppi emergenti come i napoletani “Il Balletto di Bronzo”. Tra i frequentatori dell’epoca c’è chi ricorda esibizioni dei Nomadi e  di Mal e i Primitives. Il locale presentava inoltre un’assoluta novità per la zona: la discoteca che entrava in funzione negli intervalli dell’orchestra.

Andò alla grande finché, a partire dall’autunno del 1970, la Mela dovette convivere con la concorrenza dello “Scorpione”, più signorile e concepito per un pubblico più adulto e altolocato. Col mio gruppo di amici, all’inizio degli anni 70, la domenica pomeriggio eravamo frequentatori abituali della “Mela”, un po’ perché l’ingresso era più economico rispetto all’altro locale e molto perché ci piaceva il gruppo (pardon il complesso) che si esibiva lì in quel periodo, la cui scaletta di brani era in sintonia con i nostri gusti musicali dell’epoca. Quel complesso erano i Quarypop.

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I Quarypop a La Mela Club

E proprio con Silvano Martinelli, uno dei componenti della formazione dei Quarypop, ricordiamo quel periodo; “I Quarypop” esordisce Silvano “sono nati mentre io facevo il servizio militare; prima di andare sotto le armi avevo fatto parte di due gruppi. Il primo, nel 1966, si chiamava Madmen, il secondo, due anni dopo, Morrow. Con questa formazione siamo stati ingaggiati per un mese ad Ischia e ci siamo esibiti varie volte come ospiti d’onore ai veglioni rionali di Città di Castello”. In una di queste occasioni Silvano, sull’ l’esempio di Hendrix e altri, messosi in ginocchio, ha suonato la chitarra con i denti, una cosa che all’epoca faceva spettacolo.  Il ricordo della performance è immortalato nella foto qui sotto dove si vedono i pantaloni di Silvano sporchi in corrispondenza delle ginocchia.

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I Morrow al Comunale di Città di Castello

“Una volta rientrato dalla naia” continua il musicista “all’inizio del 1972 fui contattato dai Quarypop come bassista in sostituzione di Emilio Montalti. Ai tempi il basso non era uno strumento che incontrava particolare gradimento da parte dei musicisti dal momento che, al contrario della chitarra, rimaneva in sottofondo; io, nato chitarrista, passai dalla sei alla quattro corde”.

La formazione dei Quarypop, oltre Silvano al basso, vedeva Oscar Marcucci alla chitarra, Sergio Lucaccioni voce e tastiera e Giovanni Bregolisse alla batteria; a proposito di quest’ultimo Silvano mi racconta il loro primo incontro. “Era un pomeriggio del 1965, appena uscito da scuola mi trovavo seduto su una panchina di Piazza Garibaldi a Città di Castello quando mi si avvicina un ragazzo, ci salutiamo, iniziamo a parlare e lui mi dice <<a me piace suonare la batteria>> e io <<io strimpello la chitarra, perché non proviamo a fare qualcosa insieme?>> quel ragazzo era “il Brigo”, come tutti chiamano affettuosamente Giovanni; ci siamo trovati a suonare la sera stessa”. I due sono stati componenti delle stesse formazioni negli anni 60 per ritrovarsi poi insieme nei Quarypop.

 

“Quella dei Quarypop è stata una bella esperienza” ricorda il bassista “abbiamo centrato il periodo intercettando i gusti del pubblico, proponendo, oltre che successi internazionali tipo Crossroad dei Cream di Eric Clapton, canzoni di Lucio Battisti e di Mina e quelle del nascente progressive italiano come La Formula tre e i New Trolls”.

Io e i miei amici ascoltavamo e cercavamo di cantare con accompagnamento di sola chitarra classica gli stessi pezzi, finché abbiamo formato pure noi il nostro complessino.

Tanti gruppi locali tra beat, rock e intrattenimento

A Città di Castello nella seconda metà degli anni 60 i gruppi erano così numerosi che si tenevano concorsi musicali riservati a loro. Ricordiamo il “Cornetto d’Oro” nell’omonima frazione tifernate e il “Concorso Club Melisciano” che si svolgeva al cinema Vittoria. A questi concorsi partecipavano gruppi provenienti da diverse zone della vallata, Silvano ricorda che ad una edizione c’era lui con i Madmen, e sempre da Città di Castello i Vampiri oltre agli Squali provenienti da Anghiari. Proprio da Città di Castello, nella seconda metà degli anni 60, provenivano i gruppi più noti della zona. Fra i più seguiti, oltre ai Los Trovadores e agli Angeli Neri, c’erano I Cobra del chitarrista Sergio Martinelli e i Siros di Siro Gustinucci. Nei primi anni 70 iniziavano ad affacciarsi nuovi elementi destinati ad una carriera musicale importante in ambito classico e non solo come Fabio Battistelli che insieme a Franco Verini, Alberto Sabbiotti, Luciano Valcelli, Claudio Valeri, Rudy de Infanti e Gino Godioli aveva dato vita alla Quinta Stagione. Alcuni degli elementi avevano successivamente formato il complesso Gli Uni e Gli Altri.

A Sansepolcro e nella Valtiberina all’inizio degli anni 70, la scena musicale era vivace quasi quanto quella del vicino centro umbro. Ancora vivo il ricordo di quelli della vecchia guardia, come I Diavoli del Ritmo, era appena terminata l’esperienza dei Silvios di Silvano Gennaioli e Orfeo Salimbeni. Ad Anghiari, nella seconda metà dei 60, oltre ai già citati Squali di Saverio Elisei e dei fratelli Cortellazzi, c’erano stati I Vulcani con Pietro Mercati e Giuliano Venturini, seguiti dai Kemperken. Successivamente, all’inizio dei 70, si erano affermati i Keeks con Gian Pietro Cantini, Alessandro Mondani, Franco Panichi, Bruno Rossi e Danilo Natalini, gruppo che alla voce aveva una donna, Floriana Boriosi di Città di Castello. Con componenti tra Anghiari e Sansepolcro ricordo il complesso “New If”, nel quale alle tastiere militava Alessio Ugolini, in seguito sindaco della città pierfrancescana oltre a Siro Fontani e Giancarlo Papini anghiaresi e al biturgense “Doriano” Casperchi Mirabucci, gruppo che aveva in scaletta molti brani dei Creedence Clearwater Revival. A Sansepolcro c’erano poi i Purple Haze del trio Gigi Medori, Paolo Simonucci, Giuliano Goretti (il mitico “Ciompi” batterista recentemente scomparso) orientato quasi esclusivamente al repertorio Hendrixiano, era attivo anche il complesso di Franco Menici e Leo Piergentili che eseguiva per lo più brani della produzione di Battisti e poi c’eravamo noi, gli UFO, che spaziavamo da Baglioni a Elton John, dai Beatles ai cantautori alla Tenco. Sia noi che gli altri riuscivamo a volte ad ottenere ingaggi in locali periferici della zona. Mi si consenta un aneddoto personale: un sabato sera in uno di questi posti dove eravamo impegnati a suonare, entrando in sala per montare gli strumenti, trovammo legata ad un cavo che andava da un capo all’altro della stanza, la carcassa di un maiale appesa per far scolare il sangue!

Una storia che fa il paio con quella riportatami da Silvano. “Ai tempi dei Madmen” ricorda “per trasportare gli strumenti usavamo il pulmino FIAT 850 del padre di Antonio Moni, uno dei componenti del complesso, genitore che di lavoro faceva il macellaio. Percorrevamo chilometri su chilometri nel fine settimana accompagnati dall’odore lasciato dalla carne trasportata all’interno del mezzo nei giorni di lavoro”.

Per i Quarypop il 1972 fu un anno di intensa attività; oltre l’intera stagione al chiuso alla Mela Club, e, nel frattempo, aver fatto una puntata allo Scorpione per un veglione studentesco, furono ingaggiati in estate dal Querceto di S. Giustino per l’inaugurazione del locale, nel quale poi torneranno più volte, ma, con l’arrivo del nuovo anno, il gruppo si sciolse.

Entra in scena La Fusione

Afferma Giovanni Bregolisse “Nel febbraio del 1973, fu formata La Fusione. Oltre lui alla batteria, gli altri componenti della prima formazione erano Enzo Galvani al basso, Gualtiero Zanchi alla chitarra, Giorgio Funghini, canto e Domenico Lozzi organo.

Con Domenico vediamo di ripercorrere la strada che ha portato a questo che per anni è stato il gruppo di riferimento della zona. “La mia fortuna” esordisce il musicista “è stata quella di avere in casa il mio primo maestro. Io abitavo a Caprile ed è stato mio padre Leo, fisarmonicista molto conosciuto, a darmi i primi insegnamenti di musica anche se l’isolamento della frazione montana non mi permetteva di ascoltare qualcosa di diverso. Il mio primo complesso si chiamava Misterians ricorda il tastierista “composto da Loris ed Emilio Montalti e da Santino Marini, tutti ragazzi di Badia Tedalda, oltre che da Eugenio Bruschi di Città di Castello. Successivamente ho militato in altri gruppi. Finché” rievoca “ebbi la fortuna di entrare nei Perugini, con Giancarlo Berardi tifernate, Rosvindo Guidobaldi biturgense e un batterista tunisino, con ingaggio da professionista in Olanda e li mi si aprì un mondo perché iniziai ad ascoltare organisti dotati di una tecnica più moderna e incisiva rispetto al mio modo di suonare dell’epoca. Allora si, che, ascoltando sia musicisti dal vivo che le incisioni di Brian Auger e di Jmmy Smith, cominciai a studiare sul serio lo strumento e ad applicarmi anche al pianoforte. Purtroppo” continua “arrivò a casa mia la cartolina precetto e i miei, timorosi che fossi processato e condannato come disertore, mi fecero rientrare in Italia per il servizio militare”. In ogni caso Domenico se la cavò bene anche durante la naia, preso benvolere dai superiori e inserito nel complesso del proprio reggimento. Una volta terminato il servizio militare e, trasferitosi a Sansepolcro, Alberto Tavernelli, suo cugino batterista, lo convinse ad entrare in una nuova formazione: i Soul Men. “Venni così a contatto con Gualtiero Zanchi ed Enzo Galvani, due reduci degli Angeli Neri ai quali si unirono Lido Selvi al sax a Galliano Cerrini alla tromba, provenienti dal gruppo Pinuccio e i Moritat e il cantante Giorgio Funghini di Castiglion Fiorentino. Erano gli ultimi mesi del 1970 e avemmo l’onore di inaugurare Lo Scorpione, nel quale rimanemmo a lungo come orchestra resident, oltre a suonare in altri locali prestigiosi nel corso dell’estate. Durò solo due anni al termine dei quali, presa un’altra strada la sezione fiati che costituì La Vibrocementi, sostituimmo Alberto che si era ritirato con Giovanni Bregolisse e formammo La Fusione”.

 

Io e i miei amici ci imbattemmo per la prima volta con “La Fusione” in quel 1973 al dancing di le Ville Monterchi e rimanemmo di stucco. Avevamo tanto sentito parlare degli Angeli Neri e trovare due di loro nella formazione che suonava nel locale quella domenica pomeriggio era come il materializzarsi di qualcosa di mitico. Erano davvero bravi, sia loro che gli altri elementi che formavano il complesso. Confesso che ebbi qualche perplessità sul cantante ma solo in qualche brano perché molti altri li eseguiva alla perfezione. D’altronde il loro programma era molto vario, spaziando dal rock al soul ai melodici italiani, fatto per accontentare tutti, quindi una sola voce solista doveva adeguarsi a interpretare anche generi lontani dalla sua sensibilità; ma questa difficoltà l’avrei sperimentata in seguito io stesso.

Col 1974 arriva la formazione "storica" della Fusione

Arriviamo così a Pasqua 1974, inaugurazione del Clover a Lama con la presenza della Fusione. La formazione che ritrovai in quell’occasione era diversa dalla prima: erano usciti Galvani e Funghini e avevano fatto il loro ingresso Silvano Martinelli al basso e Sergio Lucaccioni alla voce solista, praticamente i tre quarti dei Quarypop!  Con questo set il complesso andrà avanti fino al 1977, inserendo, nel loro ultimo anno insieme, Emilio Fanetti al sax e flauto “perché” come afferma Domenico “era cambiato il genere musicale in voga e c’era bisogno di strumenti a fiato”. Il sassofonista, molto bravo anch’egli, era a suo tempo stato compagno di Silvano nell’orchestra di Marino Pagliai nella quale il bassista aveva militato per qualche tempo dopo lo scioglimento dei Quarypop.

“Avevamo un repertorio vastissimo” ricorda Silvano “pur essendo solo in cinque fino all’arrivo di Emilio. All’ interno del gruppo ci suddividevamo i compiti: Domenico era quello che trovava gli accordi dei brani che provavamo, estraendoli spesso direttamente da disco; Giovanni che studiando la parte di batteria si comportava come un metronomo; Gualtiero dotato di una tecnica unica per i tempi, trovava sempre soluzioni originali per le parti della chitarra; io, oltre che studiare le parti di basso, mi occupavo dell’armonizzazione dei cori, infine Sergio, vero maestro dotato di quello che viene definito orecchio assoluto, oltre a cantare, era quello che individuava il modo giusto di come suonare il brano. Noi studiavamo i pezzi cercando di rifare esattamente quello che ascoltavamo su disco, cosa che facevamo anche ai tempi dei Quarypop, riproducendo a volte anche le eventuali imperfezioni dei solchi” afferma ridendo il bassista, “ma questa che era la nostra forza era al tempo stesso il nostro limite. Abbiamo cercato di comporre qualcosa di nostro, di originale ma non ci siamo mai riusciti perché troppo legati al riprodurre anziché al creare musica. C’era un bel gruppo di persone che ci seguiva ovunque andassimo a suonare” afferma ancora Silvano “; per noi tenere serate era un vivere tra la gente, la nostra gente.

Con la Fusione abbiamo fatto una bella esperienza sociale: a Sansepolcro c’era un ragazzo con ritardo soprannominato “Tacchino”; era preda di persone che lo facevano ubriacare. Lo abbiamo preso con noi come accompagnatore ad una condizione, quella che poteva bere solo acqua minerale. Lui era felice di aggregarsi, e anche la sua famiglia di affidarcelo. Ricordo che si piazzava dalle parti dell’amplificazione e giocava a fare il nostro manager. A chi gli diceva: sono bravi questi ragazzi lui rispondeva: sono bravi ma costano caro. Era diventato così di famiglia che è stato presente al matrimonio di Giovanni. Purtroppo quando ci siamo sciolti ha ricominciato a bere incitato dalle cattive compagnie che aveva ripreso a frequentare”.

Un crepuscolo pieno di musica

Il gruppo è stato per due intere stagioni l’orchestra fissa al Clover ma si è esibita anche in altri locali prestigiosi come ad esempio il Principe ad Arezzo e il Tartana di Pieve al Toppo dove, fra l’altro, si è tenuta, nel settembre del 1977, la loro ultima performance.

La Fusione e gli altri complessi locali dell’epoca non badavano molto alla scenografia, concentrandosi quasi esclusivamente sulle sonorità. Nessun gruppo possedeva un impianto luci e gli orchestrali si presentavano sul palco vestiti come nella vita di ogni giorno anche se le cose stavano cambiando sull’esempio dei complessi provenienti da fuori che usavano fumi e luci stroboscopiche. Iniziavano a fare la loro apparizione pure dalle nostre parti le Orchestre Spettacolo che eseguivano un repertorio legato alla tradizione romagnola e, molte di loro cominciavano ad usare basi preregistrate, cosa che è sempre stata disapprovata unanimemente dai componenti della Fusione che imputano a queste ragioni la causa principale dello scioglimento della loro formazione.

Per capire la qualità delle loro esecuzioni basta ascoltare il video qui postato, registrato direttamente in sala con i rumori del pubblico in sottofondo.

 

Nel frattempo, attraverso avvicendamenti vari, il mio complesso iniziava, intorno alla metà dei 70, ad avere una sua linea per qualche tempo definitiva. Decidemmo di abolire la parola complesso e ci chiamammo Gruppo Musicale Ipotesi. Io stesso disegnai il manifesto della band. Sostenuto da una robusta base ritmica che, oltre alla batteria di Enrico Paioncini e al basso di Fabio Fratini, vedeva la presenza al piano Fender di Graziano Montedori, con alla chitarra Luciano Aquilani, all’organo Gianfranco Lombezzi che si cimentava anche col sintetizzatore (siamo stati i primi ad usarlo in zona) e con il sottoscritto alla voce, eravamo in grado di suonare un programma che andava dal prog. delle Orme a quello dei King Crimson, dai cantautori come Cocciante e De Gregori, alla bossa nova brasiliana, a brani strumentali di Santana, passando per i successi commerciali del momento. Dopo un periodo di rodaggio vissuto fra veglioni rionali, sale sparse fra la Toscana, l’Umbria e la Romagna, nonché presenza costante in night club delle nostre parti, approdammo infine ai maggiori locali della zona come Lo Scorpione, dapprima in veglioni studenteschi, poi con ingaggio continuativo e successivamente al Clover per la stagione estiva. Non durò molto, l’aria stava cambiando anche per noi e ben presto ogni componente prese altre strade.

La storia continua

Eppure la scena musicale della zona era ancora attiva grazie al consueto rimescolamento degli elementi. Ad Anghiari per esempio Gian Pietro Cantini e Alessandro Mondani, con Siro Fontani insieme al redivivo Sergio Martinelli, ex Cobra, e ad Andrea Nicasi, entrambi di Città di Castello, davano vita in quel periodo al gruppo Nuova Opera Italiana che per qualche anno ancora calcò con successo i palchi di diversi locali. A Città di Castello La Vibrocementi di Lido Selvi e Galliano Cerrini con elementi provenienti dal gruppo Gli Uni e Gli Altri come Massimo Brozzetti, Paolo Trombi, Aramis Carlini, Franco Verini e Maurizio Montanari continuava proficuamente la propria attività ben oltre la fine del decennio, con Montanari sostituito in seguito, dal giovane Paolo Fiorucci, proveniente da una formazione di Sansepolcro, La Nostra Età che accanto ad elementi collaudati come Leo Piergentili e Silvano Gennaioli, vedeva la presenza di Fabio Donnini e Franco Santini, a sua volta attiva alla metà dei 70 in locali della zona. E sul finire del decennio si affacciavano anche nuove leve. A Sansepolcro per esempio nel 1977 Claudio Mirabucci Casperchi, Franco Chieli, Valerio Tricca e Daniele Duranti formarono il gruppo H2SO4 che andò avanti per qualche tempo tra sale da ballo e night club. Ma ormai i locali più importanti si erano convertiti alla sola discoteca e in quelli periferici imperava il liscio.

Il liscio fu il genere “rifugio” anche per i reduci della Fusione. Sergio Lucaccioni fu ingaggiato dall’orchestra di Albertino, Gualtiero Zanchi e Giovanni Bregolisse si unirono a quella di Ivano Pescari prima e poi al Cafè Concerto, Domenico Lozzi fu per qualche tempo con l’Orchestra Angelini, per poi dedicarsi al piano bar, Silvano Martinelli aprì nel 1995 La Città della Musica chiamando per l’inaugurazione Franco Mussida chitarrista della PFM, “un posto” afferma “dove i ragazzi che volevano fare musica potevano esprimersi senza nessun vincolo, aperto per restituire ai giovani quel che la musica mi aveva dato”. Il musicista ha finalmente trovato l’ispirazione per riuscire a comporre ed incidere canzoni proprie. Ci sono state poi nel corso del tempo varie “reunion” di musicisti con esibizioni molto applaudite in piazze colme di gente. Ultimamente Domenico ha iniziato a suonare jazz con due ex componenti del mio gruppo, Luciano Aquilani ed Enrico Paioncini; mi è sembrato in tal modo che si chiudesse un cerchio mettendo insieme le anime più creative delle due band.

Chi volesse rivivere quegli anni ascoltando vari gruppi dell’epoca può collegarsi su Yuotube con Complessi dell’AltaValle del Tevere Anni 60/70 e sempre su Youtube con BregoDrummer.

Infine mi scuso se ho tralasciato di citare qualche gruppo o il nome di qualche componente ma la materia si è rivelata molto vasta per permettermi di ricordare tutto. Per completare potete commentare e porre rimedio qui oppure sui social dove verrà postato questo articolo.

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Il ricordo del gruppo più rappresentativo (e di tanti altri) di un movimento musicale irripetibile