National Gallery: così abbiamo restaurato la Natività di Piero

A Sansepolcro direttore del museo e restauratrice hanno spiegato il lavoro svolto e la storia conservativa dell’opera

25 Settembre 2023

Nel servizio video di Alessio Metozzi i commenti del direttore della National Gallery, Gabriele Finaldi, e della presidente della Fondazione Piero, Francesca Chieli

La Natività, parte centrale

La parte centrale della Natività come appare attualmente

Nel corso dell’iniziativa che è stata organizzata dalla Fondazione Piero della Francesca, i contributi di Gabriele Finaldi e di Jill Dunkerton – ovvero del direttore della National Gallery di Londra e dell’esperta che ha guidato il restauro della Natività di Piero della Francesca – hanno fornito spunti e chiavi di lettura per comprendere il lavoro che è stato effettuato sull’opera che dal 1874 appartiene al museo inglese.

Dopo i saluti della Presidente della Fondazione Piero della Francesca, Francesca Chieli, Finaldi ha ripercorso le tappe che nella seconda metà del XIX secolo hanno portato la National Gallery ad acquisire ben tre opere del celebre pittore di Sansepolcro: il Battesimo di Cristo (1861), San Michele Arcangelo (1861) e la Natività (1874).

Al termine di tale intervento introduttivo, Jill Dunkerton ha innanzitutto ricostruito le fasi salienti della storia del dipinto dal XV al XIX secolo, quindi da quando, nei decenni immediatamente successivi alla morte del pittore, questo si trovava in una sala di Casa di Piero (come attestato dai documenti raccolti da Eugenio Battisti), fino al suo arrivo a Londra. La restauratrice ha quindi cercato di illustrare la condizione della Natività nell’Ottocento, citando documenti dai quali si evince che lo stato di conservazione doveva essere piuttosto critico: ciò è chiaramente riportato, ad esempio, già nella lettera che nel 1826 Giuseppe Franceschi Marini (uno dei discendenti della famiglia di Piero) scrisse all’allora direttrice degli Uffizi per chiedere, in vista di una possibile vendita, un trasferimento della tavola presso il museo fiorentino. La Natività fu trasferita a Firenze dove poi, dopo un temporaneo ritorno a Sansepolcro dal ‘36 al ‘58, fu immessa nel mercato dell’antiquariato dalla famiglia Frescobaldi, al tempo imparentata con quella degli eredi di Piero della Francesca. Dopo essere stata comprata e rivenduta da collezionisti inglesi, l’opera fu trasferita a Londra per poi essere acquisita, nel 1874, dalla National Gallery. In questo periodo quasi tutte le testimonianze scritte sul dipinto, compresa quella redatta dal museo londinese in seguito al suo arrivo, convengono sul fatto che questo fosse trascurato e parzialmente danneggiato.

Prima ancora di giungere alla National Gallery furono proprio le pessime condizioni dell’opera a richiedere un intervento di restauro nel 1861: il lavoro, eseguito da John Bentley, riuscì a recuperare alcune delle lacune anche se poi, negli anni successivi, alcuni iniziarono a mettere in discussione la presunta “ripittura” che fu effettuata sulla superficie della tavola.

A questo primo restauro ne seguirono altri. Nel 1884, mentre si cercava di individuare e recuperare il tratto originario di Piero della Francesca, si arrivò a considerare l’opera incompleta. Oltre a ciò si provò a stabilizzare il delicato supporto ligneo ma questo finì con il provocare alcuni piccoli distaccamenti della superficie cromatica sull’area del dipinto. Dopo che nel 1929 un altro intervento sul legno ne aggravò ulteriormente la condizione di vulnerabilità, il restauro del 1949 tentò di rafforzare la tavola attraverso un assottigliamento della stessa e la relativa applicazione di una griglia metallica nella parte retrostante. Tuttavia anche questo intervento invece di produrre benefici provocò ulteriori danni e la superficie dovette essere nuovamente sottoposta a pulitura.

Natività prima e dopo l'ultimo restauro
La Natività prima e dopo l’ultimo restauro

In seguito a tale articolato riepilogo, la Dunkerton è quindi entrata nello specifico dell’ultimo restauro effettuato dal 2020 al 2022. In primo luogo è stato illustrato il lavoro che ha portato alla stabilizzazione della tavola attraverso la rimozione della griglia di alluminio e l’applicazione di inserti e componenti lignei. Successivamente l’attenzione è stata dunque rivolta gli approcci seguiti, alle tecniche utilizzate e ad alcuni dettagli dei risultati ottenuti; ciò è stato fatto in maniera molto precisa e con l’intento di spiegare le scelte compiute, dato che, un po’ come era accaduto in precedenza, anche l’ultimo restauro ha suscitato reazioni critiche, sopratutto per ciò che riguarda alcune ricostruzioni che hanno riguardato le parti maggiormente danneggiate: nei mesi scorsi, ad esempio, il critico del “Guardian” Jonathan Jones aveva puntato il dito contro i volti dei due pastori collocati nella parte destra, i cui tratti espressivi, dopo essere stati cancellati dall’incuria e dal tempo, sono praticamente stati ridipinti con un’espressione a suo dire goffa e con dei colori eccessivamente scuri. Altre segnalazioni hanno anche riguardato il riflesso di luce che si vede nel muro di pietra della mangiatoria, giudicato da alcuni troppo chiaro.

Jill Dunkerton ha quindi spiegato che il restauro ha voluto rendere meno visibili quelle lacune ed abrasioni che altrimenti, attirando eccessivamente l’attenzione del visitatore medio, avrebbero distorto la percezione dell’opera, collocando in secondo piano quegli elementi che per Piero, invece, dovevano rimanere centrali. Secondo questa logica i volti dei due pastori, di carnagione più scura in quanto terreni, sono stati recuperati in maniera tale che questi possano inserirsi fluidamente in una scena che vede, per altro, uno dei due indicare il raggio di sole che entra nella mangiatoia attraverso il buco del tetto. Questo dettaglio doveva, secondo la Dunkerton, essere molto importante per Piero, dato che tale raggio rappresenta una luce divina che invece di irradiarsi dal piccolo Gesù, giunge direttamente dal cielo (è probabile che Piero abbia utilizzato questo espediente anche per non alterare l’equilibrio tra la spazialità delle forme e le relative ombre). Lo stesso riflesso nel muro sarebbe particolarmente chiaro proprio per questo motivo, oltre che per il fatto che tutta l’armonia cromatica, modulata attraverso velature, ha cercato di riproporre colori che, a partire da quello del cielo, si avvicinassero maggiormente a quelli scelti da Piero. A monte delle scelte compiute si ritrova dunque una visione d’insieme che, grazie alle indagini effettuate, può guidare la fruizione dell’opera secondo quella che è la sua più plausibile interpretazione: ciò si nota anche su alcuni particolari, come quello del corno del bue che è stato reso meno evidente per recuperare un probabile ripensamento dell’artista (completata l’esecuzione Piero si potrebbe infatti essere reso conto del suo effetto piuttosto dirompente).

Infine, dopo essersi soffermata su altri dettagli della Vergine, di Giuseppe e degli angeli musicanti, la restauratrice ha anche motivato il fatto che l’opera, a suo modo di vedere, non è incompiuta e che anche eventuali dettagli non realizzati, come le corde dei liuti, sono frutto di scelte che Piero della Francesca compie deliberatamente per non interrompere l’immagine intima ed eterea che traspare dal dipinto.

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A Sansepolcro direttore del museo e restauratrice hanno spiegato il lavoro svolto e la storia conservativa dell’opera