Chi è Francesco Dindelli

La vita fuori dal comune di un artista del Novecento appena riscoperto

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17 Dicembre 2022
Dindelli

Francesco Dindelli

Francesco Dindelli nacque a Sansepolcro il 30 agosto 1917, nella casa di via Piero della Francesca in cui visse con la madre Viola, casalinga che al bisogno lavorava in una falegnameria, e il padre Giuseppe, pastaio alla Buitoni, ma anche bravo fisarmonicista, poeta e cantore in ottava rima. Tra i figli fu il secondo, Francesco, quello che più di tutti ereditò le doti e la passione del padre per l’arte, la musica, la poesia. Infanzia e adolescenza furono serene: il forte legame tra i fratelli, le scorribande per il Borgo e per la campagna, a volte anche saltando le lezioni dell’Istituto d’Arte, il gioco del biliardo, del quale fu un vero campione.

Guerra e prigionia

Ma centrale fu sempre l’arte, e in questo ambito – dopo il servizio militare prestato nel 1937 – andò a lavorare a Montelupo Fiorentino, come decoratore in un atelier di ceramica. Ben presto arrivò però la guerra: all’inizio del 1940 Francesco Dindelli fu inviato in Libia e partecipò alle operazioni militari nel Nordafrica. Fatto prigioniero dagli inglesi il 5 gennaio 1941, trascorse un mese all’ospedale del Cairo a curarsi dalla malaria e, prima che fosse guarito, fu trasferito in India a lavorare in opere di bonifica. Nel febbraio 1944 fu mandato in Australia, dove vide peggiorare ulteriormente le sue condizioni di salute. Mentre i fratelli erano impegnati nella lotta partigiana, Francesco trascorse una dura prigionia che lo avrebbe segnato profondamente, durante la quale seppe però trovare consolazione nella pittura e nella poesia.

L’ospedale psichiatrico

Il rimpatrio dall’Australia arrivò molto dopo la fine del conflitto, nell’ottobre 1946. Francesco Dindelli cercò invano di ottenere un indennizzo per i danni di guerra e per gli anni di prigionia. Tutto ciò che gli fu assegnato fu una pensione per invalidità psicofisica, che rifiutò sempre. Negli anni cinquanta iniziò a manifestare disturbi psichici che lo portarono a trascorrere, in periodi diversi, ben 14 anni nell’ospedale neuropsichiatrico di Arezzo, i cosiddetti Tetti Rossi. Un luogo che, nonostante alcune innovazioni, era ancora caratterizzato da “reparti sigillati, camere di contenzione, edifici di segregazione, uso di elettroshock e camicie di forza”, racconta l’assistente sociale Anna Franca Rinaldelli. Anche in questo contesto furono la poesia e il disegno, spesso con materiali poverissimi, la consolazione di Francesco, che solo all'inizio degli anni settanta, quando alla guida dell’ospedale arrivò Agostino Pirella, poté tornare a casa.

Gli ultimi anni

Da allora visse con la madre fino alla morte di lei, nel 1982, e poi con la sorella Anna Maria, una vita abbastanza serena, anche se accompagnata dallo stigma di “matto”. Negli ultimi tempi si decise ad esporre le proprie opere, e chiese aiuto per questo al parroco del Sacro Cuore, don Tersilio Rossi. Si adoperò con impegno per la mostra, incorniciando tutte le opere, ma purtroppo non poté vedere il risultato finale: morì infatti il 23 settembre 1986. Don Tersilio proseguì comunque il lavoro organizzativo e l’esposizione fu allestita un anno più tardi.

La riscoperta

Proprio grazie al catalogo di quella piccola mostra di 35 anni fa, trovato casualmente da Stefano Vannini, l’arte di Francesco Dindelli è stata riscoperta e la sua città gli può oggi rendere omaggio in grande stile. L’esposizione “Il colore dentro – Lo sguardo di un artista del ‘900”, raccoglie circa 90 opere rimaste finora pressoché sconosciute al di fuori della cerchia familiare dell’artista. La mostra, organizzata dall’associazione L’Accademia e curata dalla storica dell’arte Alessandra Baroni, è stata inaugurata a Palazzo Alberti lo scorso 9 dicembre e sarà visitabile fino all’8 gennaio. Nel ricco catalogo, oltre alle opere esposte, tanti interessanti testi di approfondimenti sull’arte di Francesco Dindelli e sulla sua drammatica esperienza di vita, da cui sono state tratte le informazioni utilizzate per l’estensione di questo articolo.

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La vita fuori dal comune di un artista del Novecento appena riscoperto