La frana e l’alluvione che colpirono Pieve Santo Stefano nel febbraio 1855

Un doppio evento drammatico che ha segnato la storia, le testimonianze cartografiche e il profilo morfologico del luogo

14 Febbraio 2024
Foto dell’alluvione di Pieve Santo Stefano (A. Tacchini, L’alta Valle del Tevere in cartolina, Petruzzi Editore, Città di Castello, 1992)

Foto dell’alluvione di Pieve Santo Stefano raffigurante il centro abitato sommerso ma con l’acqua al di sotto del livello massimo di altezza (immagine tratta da A. Tacchini, L’alta Valle del Tevere in cartolina, Petruzzi Editore, Città di Castello, 1992)

Era la notte del 14 febbraio 1855 quando un’imponente frana si staccò dal colle di Belmonte posto a sud dell’abitato di Pieve Santo Stefano. A causare lo scivolamento verso valle di un’ingente porzione del versante furono quasi certamente le copiose ed incessanti precipitazioni che avevano caratterizzato quelle settimane, oltre che, a quanto pare, alcune scosse di terremoto. Tale evento fu già di per sé piuttosto drammatico, visto che, come dimostra la cartografia del tempo, lungo la riva sinistra erano presenti diversi edifici ed appezzamenti coltivati. Tuttavia questo era solo l’inizio di un’altra sciagura che si compì nelle ore successive: la lingua di terra franata si appoggiò sulla base del poggio di Stantino che delimitava l’altra sponda del Tevere, andando di fatto ad ostruire il deflusso del fiume. Si formò, in altre parole, una diga naturale che in meno di 24 ore portò all’allagamento dell’intero centro abitato.

La popolazione fu fatta evacuare e la notte del 16 febbraio l’acqua raggiunse il suo livello massimo di altezza di circa 17 metri, sommergendo completamente quasi tutti gli edifici del fondovalle: soltanto la cupola del Santuario della Madonna dei Lumi e la parte superiore di pochissime altre architetture rimasero visibili in quelle ore (ancora oggi un segno sulla parete della chiesa indica il livello più alto raggiunto dall’acqua). Alla fine le vittime furono, tutto sommato, piuttosto contenute (quattro in tutto), anche se i danni al patrimonio architettonico, storico, culturale e artistico apparvero subito consistenti e, in alcuni casi, irreversibili.

Edifici danneggiati alluvione
“Pianta geometrica della terra della Pieve di S. Stefano che dimostra gli stabili colpiti dall'inondazione avvenuta nel febbraio 1855” (Nàrodni Archiv Praha)
Madonna dei Lumi
Il segno, posto sulla parete esterna del santuario della Madonna dei Lumi, che indica il punto raggiunto dall'acqua durante l'alluvione del febbraio 1855

Prima che la frana si stabilizzasse ci vollero circa tre giorni, dopodiché l’arrivò del granduca Leopoldo II portò alla celere realizzazione di due fossi per far defluire l’acqua accumulata. Dalle rappresentazioni cartografiche che furono realizzate nell’occasione e nel periodo immediatamente successivo è possibile comprendere non solo l’entità del disastro, ma anche come in seguito a questo evento cambiò il paesaggio di Pieve Santo Stefano. Dalla carta manoscritta del 1855 si può osservare la parte di suolo che franò il 14 febbraio e quella che fu interessata dai conseguenti movimenti più a monte. Nella stessa si vede anche l’area che fu soggetta ad allagamento.

Frana Pieve
“Pianta del paese di Pieve S. Stefano e sue adiacenze aggiuntavi per cura di S. A. R. e I. il principe ereditario arciduca Ferdinando, dalla frana del poggio di Belmonte avvenuta dal dì 15 al dì 17 febbraio 1855 e del derivatone allagamento del paese per l'impedito corso delle acque del Tevere” (Nàrodni Archiv Praha)

Non troppo diversa è la prima rappresentazione che venne in seguito utilizzata per fare un raffronto con quella che era la situazione più di un anno dopo, nel giugno del 1856.

Frana e alluvione 1855-1856
“Pianta geometrica indicante le porzioni del territorio della Pieve S. Stefano, investite dalla frana del poggio di Belmonte e dalla conseguente inondazione del Tevere, nello stato in cui erano nel tempo dell'inondazione avvenuta nel febbraio 1855 e all'epoca successiva del giugno 1856” (Nàrodni Archiv Praha)

L’accostamento tra il 1855 e del 1856 mostra gli interventi che sono stati eseguiti nei mesi successivi all’alluvione per ripristinare il letto del Tevere e mettere così in sicurezza il paese, oltre che per garantire un collegamento viario con il resto della Valtiberina e per ridefinire le proprietà sopra l’area della frana. Sostanzialmente questo assetto del territorio è quello ancora adesso vigente che caratterizza l’ingresso a Pieve arrivando da sud: i vari saliscendi e le curve che caratterizzano ancora oggi via Pian di Guido e via Canonico Coupers sono dunque dovute al fatto che quando si transita su quel punto ci si trova sopra all’ammasso di terra franata nel febbraio del 1855.

Osservando una recente foto aerea è addirittura possibile scorgere tuttora i segni di questo episodio geologico.

Frana Evidenziata Pieve 2021
Foto aerea del 2021 indicante, pressappoco, l’area della frana del 1855

Una parte del paesaggio morfologico di Pieve Santo Santo Stefano sembra dunque custodire la memoria di un evento catastrofico che, nella sua drammaticità, è parte integrante della storia e dell’identità del luogo che in quel febbraio 1855 è stato definitivamente privato di un cospicuo patrimonio artistico che comprendeva opere di Piero della Francesca, del Ghirlandaio, di Signorelli, Raffaelino del Colle e Santi di Tito. Una vera e propria calamità, a cui per altro, nei mesi successivi, si susseguì un’epidemia di colera; un trauma diventato Storia, come quello che 89 anni dopo portò, per opera dei tedeschi, alla distruzione dell’intero centro storico.

corpo frana
Il corpo della frana così come appare oggi

Si ringrazia il prof. Andrea Franceschetti per i suggerimenti che hanno consentito di ricostruire la cronistoria degli avvenimenti narrati.

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Abstract
Un doppio evento drammatico che ha segnato la storia, le testimonianze cartografiche e il profilo morfologico del luogo