Così nacque il pangiallo del Borgo

Storia della specialità pasquale tipica di Sansepolcro, mentre a Pieve Santo Stefano c’è la Panina, simile nel gusto e uguale nella tradizione

30 Marzo 2024
pangiallo sansepolcro

Il pangiallo di Sansepolcro (foto: archivio TeverePost)

Pangiallo di Sansepolcro e Panina di Pieve Santo Stefano: due specialità tipicamente pasquali che si somigliano anche nel gusto, ma che non sono la stessa cosa. Di certo, fanno parte della tradizione culinaria e guai se mancano sulla tavola. Ma perché a distanza di pochi chilometri vi è questa curiosa differenza? La storia più singolare, probabilmente a metà fra il reale e il romanzato, è quella che riguarda il Pangiallo del Borgo e bisogna tornare indietro fino al tardo Medioevo, quando Sansepolcro era luogo di produzione e commercio di tessuti, con le spezie e le erbe che venivano impiegate per le colorazioni.

In base a quanto narra la leggenda, a un tintore che stava preparando il colore con il pigmento ottenuto dallo zafferano sarebbe caduta una pagnottella di pane nella grande vasca destinata alle stoffe. Il pane aveva assunto un colore giallo dorato e lui pensò che quel giorno, a causa della sua distrazione, sarebbe rimasto senza pranzo. Recuperò il pezzo di pane che gli era caduto con l’intento di gettarlo, ma la fame che lo aveva assalito gli suggerì di ripensarci e di appoggiarlo vicino al fuoco per farlo asciugare. Il pane gli divenne croccante e lo assaggiò assieme a un pezzo di formaggio.

Risultato: non solo evitò di gettar via il cibo, ma ciò che aveva mangiato si era rivelato gustoso. Il fatto appena esposto si sarebbe verificato poco prima di Pasqua, ragion per cui il tintore ritenne che questo pane dorato uscito fuori per sbaglio avrebbe potuto dare una connotazione alla tavola nella domenica della grande festa e allora portò alla moglie alcuni pistilli di zafferano perché li mischiasse con l’impasto del pane. La consorte del tintore fece di più: vi aggiunse infatti altri ingredienti che teneva nella madia, ovvero strutto di maiale, un pizzico di sale, una spolverata di pepe e una manciata di uva appassita. Prima di inserire nel forno la pagnotta gialla che era venuta fuori, la donna prese un coltello e vi impresse una croce, come solitamente si faceva con il pane comune; il forno avrebbe poi provveduto all’ultimo atto. 

Uscì una pagnotta dorata, profumata e ricca di sapori, che piacque molto alla famiglia per la sua squisitezza. Che dunque questa sia la vera origine del Pangiallo del Borgo? Ci può stare, come potrebbe essere frutto di pura fantasia, come anche potrebbero esservi fondamenti di verità. Di certo, a Sansepolcro ogni mattina di Pasqua si consuma un rituale irrinunciabile per la sua gente: la prima colazione in famiglia, preceduta in genere da preghiere, nella quale il Pangiallo accompagna formaggio, salumi – soprattutto il capocollo - e le uova sode benedette dal sacerdote nel periodo quaresimale, quando si reca a sua volta a benedire le casaìe. Poi, una fetta di dolce (nel caso, la si mangiava a pranzo) e il caffè o caffelatte. Il Pangiallo, che per molti è persino uno sfizio da consumare senza aggiungere nulla (sarà anche quella uvetta che gli completa il gusto), ha assunto pertanto un significato devozionale: giallo come l’oro, profumato e saporito. Nelle tavole delle famiglie di Sansepolcro è l’unica specialità pasquale che non manca mai. Gli ingrendienti indicati per la sua preparazione sono farina, lievito madre, lievito fresco sciolto in un po’ di acqua, olio di oliva, sale, pepe, zucchero, strutto, acqua, uvetta e zafferano.

Panina
La Panina dell’Antico Forno Barbagli

Dal Pangiallo alla Panina di Pieve Santo Stefano: che sia l’assenza dello zafferano la sola differenza? Molte sono le affinità. Intanto, la Panina si prepara con uova farina, uvetta, unto di maiale, sale, pepe, lievito di birra e zucchero. Fa parte anch’essa della tradizione pasquale e viene prodotta da diversi panifici, ma quella di Pieve è particolare. Andrea e Niccolò Barbagli, titolari di uno storico forno del paese, hanno ripreso la ricetta delle bisnonne che si è tramandata alle generazioni successive, ragion per cui la Panina – che ha la forma del filone e non della pagnottina tonda come il Pangiallo – continua a essere pietanza dalle prerogative “povere” con impasto di pane, uva appassita e strutto di maiale. E tradizione vuole che, alla stessa maniera del Pangiallo, la Panina la si mangi a colazione del giorno di Pasqua assieme all’uovo benedetto, assaggiando poi 13 acini di uvetta. L’unica novità apportata con il tempo è stata l’aggiunta di sale e pepe, che hannno creato un gusto a metà fra il dolce e il salato, per cui il segreto del successo della panina è il contrasto fra uvetta e pepe. Ma sia il Pangiallo che la Panina sono da consigliare per il loro gusto. 
 

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Storia della specialità pasquale tipica di Sansepolcro, mentre a Pieve Santo Stefano c’è la Panina, simile nel gusto e uguale nella tradizione