Addio al tifernate Ferdinando Tascini, fu l’ultimo carceriere di Mussolini

Personaggio simbolo della comunità di Città di Castello, si è spento all’età di 101 anni. Il cordoglio dell’amministrazione

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15 Marzo 2024
tascini

Ferdinando Tascini

Se n’è andato Ferdinando Tascini, conosciuto per essere stato l’ultimo carceriere di Benito Mussolini a Campo Imperatore. Tascini viveva a Città di Castello e lo scorso 28 dicembre aveva compiuto 101 anni. Socio storico della sezione tifernate dei Mutilati e Invalidi di Guerra (Anmig), ha seguito di poco più di un mese un altro ultracentenario, Pietro Patrizi, che ha sfiorato i 104 anni. “Un gentiluomo, simbolo della nostra comunità“, ha scritto il sindaco Luca Secondi nel suo messaggio di cordoglio alla famiglia. Nativo di Todi, Tascini ha vissuto per oltre 70 anni a Città di Castello. Chiamato in guerra dall’Esercito, era stato inviato in Montenegro nel 1942, dove rimase per circa un anno e quando rientrò in Italia gli venne assegnato il compito di fare la guardia del duce, sfiduciato il 25 luglio 1943 dal Gran Consiglio del Fascismo. Mussolini venne poi arrestato a Villa Savoia e portato nelle isole di Ventotene e di Ponza, poi a villa Weber in Sardegna, a Vigna di Valle e infine sul Gran Sasso, dove Tascini – allora 21enne - era addetto al telefono e riceveva le notizie dalla base della funivia.

Era il 28 agosto quando Mussolini giunse a Campo Imperatore e Tascini, che aveva sfruttato la possibilità di tornare dal Montenegro per fare il corso allievi carabinieri a Roma, lo riconobbe subito, vestito tutto di nero e accompagnato da tre persone. Alla domanda che gli rivolsero di recente, sull’impressione che gli fece Mussolini, Tascini rispose sottolineando le sensazioni che ebbe: “Un uomo abbattuto, dimesso e distrutto; moralmente finito, ma questa era assai più di una sensazione. Non era più lui”. Tascini ricordò poi come a lui la guerra avesse tolto gli entusiasmi che aveva con il fascismo, il quale – rivelatosi poi per quello che era, cioè un regime – gli aveva generato un sentimento di avversione, lo stesso che il padre mezzadro aveva provato verso le dittature. Dentro di lui, comunque, sono contrastanti gli atteggiamenti per Mussolini: “Ci avevano insegnato che lui era di origine popolare, che voleva bene al popolo e che faceva le leggi per il suo bene, ma che era stato tradito dai “signori”.

L’8 settembre fu il giorno dell’armistizio, ma Tascini ebbe la percezione secondo cui la guerra non fosse ancora finita. “Avevo notato il passaggio di ricognitori sopra il nostro cielo – disse Tascini – con un aereo che sorvolava l’albergo e girava, probabilmente per scattare fotografie, perché dopo la liberazione di Mussolini trovai in terra la foto aerea della zona in cui ci trovavamo. Magari, era una foto caduta ai tedeschi, tant’è vero che un loro ufficiale me la strappò dalle mani. C’era un rischio per noi, ma lo capimmo solo dopo la liberazione del duce. In quel 12 settembre – sono sempre parole di Tascini – mi stavo riposando nella mia cameretta, quando udii rumori forti: erano atterrati i tedeschi; dalla finestra vidi che nello spazio adiacente all’albergo c’erano 4 o 5 alianti per terra e le SS avevano in mano le mitragliatrici semipesanti. Ci avevano circondato. Gli alianti erano in totale 11 e in ognuno c’erano almeno 6-7 tedeschi: l’avvertimento dato è che, se fossimo stati attaccati, avremmo dovuto prendere posizione e attendere gli ordini, armati. Mentre i tedeschi stavano circondando l’albergo, noi eravamo in attesa di ordini e dalla finestra dell’altra camera vidi un altro aliante atterrato vicino all’ingresso, dal quale uscì un ufficiale italiano con le mani alzate che si dirigeva verso l’albergo. Si trattava del generale Fernando Soleti, capo della polizia, che era stato preso in ostaggio dai tedeschi e che venne avvicinato dal commissario Ippolito. Un breve colloquio e poi l’ordine della resa, ma di fatto era già così, perché con le nostre armi non saremmo stati in grado di resistere all’attacco dei tedeschi, i quali presero atto dell’assenza di resistenza da parte nostra e si comportarono abbastanza bene. Entrarono e presero possesso del centralino; proprio in quel momento, Mussolini si fece vedere alla finestra e i tedeschi gli gridarono “Duce, duce!”. È stata l’unica volta in cui l’ho visto sorridere: non uscì e fu una delegazione con il comandante tedesco e gli ufficiali italiani a recarsi da lui. A noi dissero di scendere disarmati e provarono a farlo anche con un ufficiale: li fermò il tenente Alberto Faiola”.

Venne inviato il segnale con un razzo per far capire che l’impresa era riuscita e c’era la “cicogna” che atterrò sulla radura; Mussolini vi salì dopo essere sceso dalla sua camera, ma prima si rivolse a carabinieri e poliziotti, dicendo loro: “Siete stati tutti molto gentili e io vi ringrazio; mi ricorderò di voi”. Terminata la guerra, Tascini si iscrisse alla Democrazia Cristiana (fu anche segretario della sezione di Fratta Todina) ed era contro sia il comunismo che il fascismo. Per motivi di lavoro, abbandonò la politica e si trasferì a Città di Castello assieme alla moglie Adiana (morta oltre dieci anni fa), dove avviò un’azienda agricola operante nella tabacchicoltura per poi lavorare nella Comunità Montana. Quattro i figli avuti dalla coppia, che gli sono stati vicini fino all’ultimo nella casa di San Donino: Massimo, Maria Teresa, Maria Francesca e Luca, ai quali vanno le condoglianze della nostra redazione.

I funerali di Ferdinando Tascini si terranno sabato 16 marzo, alle ore 15:30, presso la chiesa degli Zoccolanti a Città di Castello. 

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Personaggio simbolo della comunità di Città di Castello, si è spento all’età di 101 anni. Il cordoglio dell’amministrazione