Torna l’ora legale: lancette avanti nella notte, prosegue il dibattito sulla sua permanenza

Due punti di vista con i loro “pro” e i loro “contro”. La stessa Unione Europea lascia ancora la facoltà di decisione ai vari Stati  

30 Marzo 2024
maestro canello

Immagine tratta dal film Fantozzi (1975)

Sta per arrivare l’ultima domenica di marzo, che quest’anno coincide anche con l’ultimo giorno del mese e con la Santa Pasqua, per cui nella notte precedente si consumerà il rituale in atto da 43 anni: il ritorno dell’ora legale, con le lancette dell’orologio che dovranno essere spostate avanti di 60 minuti, per cui dormiremo un’ora meno, che recupereremo nella notte fra il 26 e il 27 ottobre prossimi, quando verrà ripristinata l’ora solare dopo 210 giorni. Sia chiaro: l’ora legale esiste da più tempo, ma dal 1981 entra l’ultima domenica di marzo. Con l’allargarsi graduale e quotidiano dello spazio temporale occupato dalla luce naturale (che arriverà alla massima ampiezza nei giorni del solstizio d’estate, quindi il 20, 21 e 22 giugno), l’ora in più guadagnata nella parte finale della giornata ha consentito risparmi di energia importanti.

Tanto per fare gli esempi più recenti, le stime di Terna (gestore della rete di trasmissione italiana in alta tensione) parlano per i sette mesi del 2023 di circa 220 milioni di euro, a seguito della riduzione del consumo di energia elettrica di circa 410 milioni di chilowattora, con assieme le circa 2900mila tonnellate in meno di anidride carbonica immesse nell’atmosfera. I dati aggregati nel periodo che va dal 2004 al 2022 indicano che la diminuzione del consumo di energia elettrica, grazie all’ora legale, è stata di circa 10,9 miliardi di chilowattora, pari a un risparmio economico per la collettività di quasi 2 miliardi di euro. Ma il passaggio dall’ora solare a quella legale è noto anche per le controindicazioni dall’effetto temporaneo sulla salute; il caso classico è quello della difficoltà nel prendere sonno, poiché la melatonina è favorita dall’oscurità. Altri effetti collaterali: stress, difficoltà di concentrazione e a volte anche insonnia, oppure risveglio precoce, ma anche disturbi dell’umore o anche sensazioni di cardiopalma e affaticabilità. Poi è normale che le singole persone abbiano gradi diversi di adattamento, specie coloro che sono abituate a orari fissi di sonno. Si parla poi anche di apnee ostruttive, alla base di occlusioni temporanee delle vie aeree durante il sonno, con il risultato di ridurre l’apporto di ossigeno al cervello e quindi di provocare insufficienze respiratorie. Se disturbi del genere vengono trascurati, può salire il rischio di eventi cardiovascolari o ictus a lungo termine. Ed è anche per questo motivo che ogni volta si ripropone il grande dilemma: ora legale permanente oppure no?

Per chi sostiene questa soluzione, verrebbero a eliminarsi gli squilibri sulla salute, oltre che permettere un maggiore risparmio di energia. Non a caso, la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) e Consumerismo No Profit hanno avviato una raccolta di firme per chiedere al governo di istituire l’ora legale in misura permanente. Nel 2019, l’Unione Europea ha approvato in tal senso una direttiva, che pone fine al doppio cambio di orario annuale, lasciando la discrezionalità agli Stati membri. Ma al momento, nessuna novità: si procede ancora come sempre. Di ora legale – parlando della sua storia – si parla in Italia dal 1916 e venne introdotta quell’anno come misura di guerra, che rimase in vigore fino al 1920 per poi essere ripristinata durante la seconda guerra mondiale e conoscere il periodo di massima durata dal 14 giugno 1940 al 2 novembre 1942. Con la nascita della Repubblica Sociale, per due anni l’Italia ha vissuto una sfasatura dell’ora legale fra Nord e Sud, ma l’adozione definitiva risale al 1965, con applicazione dall’anno successivo, il 1966 e con durata di quattro mesi, dall’ultima domenica di maggio all’ultima domenica di settembre. E così è stato fino al 1980, quando lo spostamento di un’ora avanti delle lancette è stato anticipato alla prima domenica di aprile e ulteriormente ritoccato nel 1981 all’ultima domenica di marzo. La disposizione dei sei mesi è durata fino al 1995, perché dal 1996 si è passati ai sette attuali, quindi fine marzo-fine ottobre.

È questa la soluzione migliore? C’è chi ritiene di sì, chi invece vorrebbe l’ora legale tutto l’anno e anche chi (una esigua minoranza) è favorevole al mantenimento per dodici mesi dell’ora solare, perché è quella più naturale e compatibile con i ritmi di vita. Ognuno ha i suoi punti di vista, tutti condivisibili e tutti con i loro risvolti in negativo. L’unico aspetto sul quale è forse lecito porsi la domanda (e che in un certo senso legittima il doppio cambio quale scelta migliore, nonostante gli sbalzi derivanti dai passaggi) è legato all’inverno e in particolare ai due-tre mesi nei quali le ore di buio prevalgono di netto su quelle di luce: che senso ha tenere l’ora legale per arrivare con la luce naturale fino alle 18 se poi al mattino si entra in ufficio o in fabbrica alle 8 che ancora è buio? In questo caso, la motivazione del risparmio di energia non trova supporto oggettivo, perché la coperta è così talmente corta che se tiri da una parte poi non copri l’altra. A dire il vero – sempre secondo il nostro modesto parere – anche l’ora legale prolungata a ottobre comincia a essere un tantino lunga, perché in questo mese la luce comincia sempre più a ritardare di primo mattino. Forse, lasciare il semestre fine marzo-fine settembre sarebbe stato più opportuno, ma in fondo va bene anche così. Non siamo invece d’accordo sui mesi propriamente invernali, ma il confronto resta aperto.            
 

Tags

Abstract
Due punti di vista con i loro “pro” e i loro “contro”. La stessa Unione Europea lascia ancora la facoltà di decisione ai vari Stati