La gestione industriale dei rifiuti

Il modello toscano e la marginalità dei comuni

01 Marzo 2023
Sei Toscana

Dal 2014 i comuni dell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) Toscana Sud hanno vissuto un passaggio epocale che ha cambiato drasticamente il modo attraverso il quale vengono gestiti i rifiuti: dopo la gara di affidamento tenutasi nel 2012, 104 comuni della provincia di Arezzo (35), Siena (35), Grosseto (28) e, in parte, Livorno (6), si sono infatti ritrovati ad essere serviti da un unico soggetto (Sei Toscana). In tal modo la macro-area della Toscana meridionale è stata la prima ad adempiere a quanto previsto dalle leggi regionali 61 del 2007 e 69 del 2011, ovvero al quadro normativo vigente che, appunto, prevede un gestore unico per ogni ambito di riferimento.

Alla base di questa profonda ridefinizione organizzativa c’era la volontà di superare la frammentazione delle piccole realtà preesistenti per arrivare alla realizzazione di una gestione industriale del ciclo integrato dei rifiuti che potesse razionalizzare e ottimizzare sistemicamente l’erogazione dei servizi nei diversi territori. In definitiva, anche per favorire maggiori livelli di efficienza e sostenibilità, dalla Valtiberina all’Isola del Giglio, attraversando i territori di tutta la Toscana meridionale, è stato attuato un modello che ormai in tutto il Paese ha iniziato ad articolarsi in un’impalcatura istituzionale che da Roma fino ai municipi coinvolge attivamente tutti gli organismi delle diverse scale: in linea con le disposizioni del D.Lgs 152/2006 lo Stato si trova a definire i criteri generali per la gestione dei rifiuti, mentre le regioni sono chiamate ad esercitare azioni di pianificazione ed i comuni ad effettuare un’imprescindibile azione operativa.

Quest’ultima, nella fattispecie, risulta però essere piuttosto ridotta rispetto al passato, dato che con la Legge Regionale 69 del 2011 i comuni toscani hanno dovuto trasferire molte loro funzioni in capo all’autorità d’ambito competente. Nonostante ciò le amministrazioni comunali continuano a predisporre il PSE (Piano dei Servizi Esecutivo) attraverso il quale vengono definiti i servizi di raccolta, di spazzamento, di pulizia, ecc., senza però avere la concreta possibilità di scegliere il soggetto che li fornirà. Per le principali attività non si può infatti ricorrere ad una società diversa da quella che ha ottenuto l’affidamento, mentre per una limitata gamma di servizi si potrebbero potenzialmente scegliere pure altri soggetti, ma nella realtà questo non avviene quasi mai, dato che l’iter per optare per il gestore unico è formalmente più rapido e semplificato. In altre parole, i comuni si trovano ad agire entro un raggio d’azione che oltre ad essere limitato è scandito unicamente dagli importi del tariffario di un gestore che si trova ad operare in maniera monopolistica; i relativi costi determinati da questo sistema sono poi destinati a ricadere sulla TARI che dovranno corrispondere i cittadini.

Le amministrazioni comunali si trovano dunque ad operare senza poter assumere decisioni che potrebbero produrre risvolti economici, ecologici e sociali di una certa rilevanza: tra tante limitazioni è da includere anche l’impossibilità di scegliere autonomamente i canali di smaltimento dei rifiuti, dato che su questo fronte, in ottemperanza al principio di autosufficienza che ogni ATO è chiamato ad osservare, gli unici impianti utilizzabili sono quelli del proprio ambito di riferimento. Quest’ultimo aspetto non è propriamente secondario dato che i costi economici ed ambientali che si legano allo smaltimento dei rifiuti sono decisamente rilevanti e, di conseguenza, l’impossibilità di un comune di assumere decisioni in merito a ciò non consente allo stesso di esercitare direttamente alcun tipo di azione politica.

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Il modello toscano e la marginalità dei comuni