Amarcord tifernate di Dino Marinelli: "Il suo nome è Florido"

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13 Novembre 2017

Crediamo giusto e doveroso, una volta tanto, parlare di un nostro concittadino, certo il più illustre, senza nulla togliere agli illustri di conio più recente che proteggono Città di Castello. Dunque, Florido nasce nel 520. Sembra che abbia vissuto un’ottantina d’anni. Tifernate puro sangue, della sua adolescenza si sa che si applica “allo studio delle lettere umane e divine”. I suoi genitori muoiono ancora giovani. Tutta l’eredità (cospicua) che questi gli lasciano la devolve alla Chiesa alla quale si dedica anima e corpo, tanto che il vescovo di allora lo promuove ai vari gradi ecclesiastici, fino a nominarlo diacono. Siamo verso il 542, più o meno il periodo in cui Totila assedia, prima, e distrugge, poi, Tiferno. Florido, assieme ai suoi due compagni Amanzio e Donino, riesce a mettersi in salvo a Perugia. Qui entra nelle grazie del vescovo Ercolano (che poi diventa santo), il quale ben presto lo ordina sacerdote.

Florido è completamente dedito alla fede: appaiono i miracoli. Il primo verso il 544. Sta così: Ercolano, che come abbiamo detto ha tanta fiducia in Florido, lo manda per un importante incarico a Todi dal vescovo Fortunato. Per la strada, in un villaggio chiamato Pantalla (esiste ancora oggi) s’imbatte in un energumeno che bestemmia come un turco e distrugge tutto quello che gli capita a tiro. Insomma è, diciamo così, preda dello spirito maligno. Il nostro antico concittadino si mette a pregare intensamente e così riesce a guarire il poveretto che “di punto in bianco divenne mite e mansueto come un agnello”. Questo fatto sbigottisce gli abitanti del luogo che si convertono e abbattono il falso dio Pan, incendiando il bosco ove avvenivano i riti per questo dio pagano.

Ma anche Perugia cade nelle mani dei barbari ed Ercolano viene ucciso. Poi, pian piano, ristabilita la pace, Florido torna a Tiferno e la trova completamente distrutta. Piange, ma ben presto si asciuga le lacrime e si rimbocca le maniche. Con i pochi superstiti ricostruisce la fede e il “castello” sopra le rovine di un paganesimo che tentava di rialzare il capo.

La città viene cinta da alte mura. Castello appunto, oppidum, a difesa dei barbari. Bisognava rifare anche il vescovo, e chi meglio di Florido? I tifernati, tutti, lo raccomandano a papa Pelagio e Florido diventa vescovo. Sacerdote prima sotto i Goti a Perugia, esercita sotto i greci e in ultimo viene nominato vescovo nel periodo in cui è immensa la confusione tra bizantini, longobardi e tanti altri che in quei tempi girano per la penisola. È “vescovo giusto e caritatevole”.

Digiuna tutti i giorni, esclusi i festivi. È amico di Gregorio Magno, che ne loda la santità. Ora crescono anche i miracoli. Eccone alcuni: mentre si ricostruisce la città, un muratore che si apprestava a mettere l’ultima pietra nella porta Santa Maria (certo non l’attuale) precipita dall’impalcatura assieme alla pesante pietra, rimanendo secco. Florido, ormai in odore di santità, ordina al suo diacono Amanzio di fare il segno della croce sopra il poveretto, che ritorna in vita. Un altro: un contadino in fin di vita si lava le mani con la stessa acqua con la quale poco prima si era lavato S.Florido e guarisce all’istante. Un altro ancora: un cavaliere di Gubbio, che aveva contratto un tumore agli occhi, improvvisamente guarisce, implorando il vescovo tifernate.

S.Florido muore nel 600 a Pieve de’ Saddi (o dei santi) di pleurite. Nell’agonia lo assistono tre vescovi, tra i quali quello di Arezzo, Lorenzo, che in sogno aveva sentito una voce che lo invitava ad andare subito ai Saddi perché Florido stava morendo. Prima di spirare dice che Tiferno sarebbe stata di nuovo distrutta. E ciò avviene puntualmente un paio d’anni dopo… Si salva solo la cattedrale che lui aveva voluto e per circa 400 anni nessuno la distruggerà. Bene. Per finire, aggiungiamo che S.Florido è ancora oggi particolarmente benevolo verso coloro che da lidi più o meno lontani decidono di stabilirsi a Città di Castello, la mai obliata Tiferno, tanto che un detto popolare, che si perde nelle brume del tempo, così recita, a sottolineare la fortuna che qui bacia i forestieri: “Ha bevuto l’acqua di S.Florido”. Senza, peraltro, il più delle volte, dimenticarsi degli “stanziali”.

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