Castori sul Tevere, a Sansepolcro la prima diga nel centro Italia

Nuove tracce di questi particolari roditori, tornati in Valtiberina dopo 500 anni

17 Marzo 2022
Diga Castori Tevere

Servizio di Marco Polchi, riprese e montaggio di Emanuele Cecci

Un inaspettato ritorno sul quale studiosi ed esperti faunistici stanno svolgendo numerose verifiche ed accertamenti. È di alcuni giorni fa la notizia del rinvenimento di una diga di castori – la prima da molti secoli ad oggi – realizzata lungo il fiume Tevere a Sansepolcro. Un evento assolutamente anomalo che certifica la nuova presenza del castor fiber nel territorio valtiberino dopo la sua estinzione avvenuta nel 1500 circa. Sul fenomeno stanno indagando alcuni ricercatori del CNR (Consiglio Nazionale Ricerche) che periodicamente raggiungono la nostra vallata per studiare i comportamenti di questi particolari roditori e gli effetti del loro inserimento all’interno dell’ecosistema.

Curiosi di saperne di più, mercoledì 16 marzo ci siamo recati sulle sponde del fiume all’altezza delle località di Falcigiano e Santa Croce, nella frazione di Santa Fiora, dove abbiamo incontrato i ricercatori Emiliano Mori e Andrea Viviano che assieme ai colleghi Giuseppe Mazza, Chiara Pucci e Davide Senserini seguono le tracce del castoro europeo sui fiumi Merse, Ombrone e Tevere per l’Istituto di Ricerca per gli Ecosistemi Terrestri a Sesto Fiorentino.

In Italia centrale 500 anni dopo

“Circa un anno fa, a seguito di alcune segnalazioni, abbiamo rilevato le prime tracce che testimoniavano la presenza di alcuni nuclei di castoro europeo – spiegano – Di questo animale non si avevano tracce dalla fine del medioevo e a giudicare dai nostri rilievi potrebbe essere tornato in zona già tra il 2019 e il 2020. Negli ultimi tempi la loro presenza ha iniziato a farsi sentire maggiormente come si può vedere dalle varie piante di diverse grandezze rosicchiate lungo il corso d’acqua. Le specie che privilegiano sono il salice bianco e il pioppo, ma abbiamo trovato segni di rosura anche sugli ontani, sui cornioli e in un caso anche sulla robinia: tutti legni abbastanza dolci e morbidi a differenza di querce o tigli.

Una famiglia in crescita

Quello di Sansepolcro è probabilmente il nucleo più numeroso in Toscana: “Qui è dove abbiamo riscontrato più segni di eventi riproduttivi – aggiungono – I segnali indicano la presenza di un paio di ‘famiglie’, una con due cuccioli, l’altra con uno. Normalmente gli esemplari adulti si aggirano tra i 25 e i 30kg di peso. Effettuare un censimento esatto non è cosa semplice, essendo animali prevalentemente notturni che si sistemano su tane spesso difficili da rintracciare, anche se in certi casi sono in grado di costruirsi delle vere e proprie casette con i legni rosicchiati. In questo momento abbiamo installato nell’area una serie di fototrappole con le quali speriamo di chiarire anche questi aspetti”.

Le incognite sul ritorno

Ma quali sono le dinamiche che hanno portato all’arrivo dei castori sul Tevere? “L’ipotesi più accreditata è che si tratti di un’immissione non ufficiale – spiegano i ricercatori – effettuata quindi violando tutta una serie di regole su come gli animali vadano rilasciati e in quali contesti. Se l’ipotesi venisse confermata, ci troveremmo al margine dell’illegalità. Appare strano che siano arrivati autonomamente dall’Austria senza aver lasciato tracce in Emilia Romagna e Veneto”.

Quale impatto sull’ambiente?

Un’altra grande incognita è rappresentata dagli effetti sull’ecosistema a seguito dell’introduzione di una nuova specie. Su questo aspetto, nonostante le incertezze, i ricercatori hanno lasciato intendere che non dovrebbero verificarsi situazioni particolarmente impattanti: “Al momento non abbiamo abbastanza dati per poterci esprimere con precisione su questo aspetto. Sicuramente sarà il grande tema da prendere in esame nei prossimi anni. Possiamo presumere che il castoro potrà rivelarsi utile da un punto di vista botanico, perché abbattendo delle piante e costruendo dighe sull’acqua può comunque favorire un rinnovo dal punto di vista ecosistemico, creando anche degli ambienti che possono essere favorevoli ad altre forme di vita come anfibi o pesci”.

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Nuove tracce di questi particolari roditori, tornati in Valtiberina dopo 500 anni