“Grappoli”: vino, cibo, storie - Ca' dell'Odola
Il nostro ciclo di approfondimenti su viticoltura ed enologia si apre con l’Azienda agricola biologica Ca’ dell’Odola
Incontro Lucia Nocentini al Birrificio Altotevere, per poi visitare la tenuta di cui è proprietaria e custode insieme alla sua famiglia.
Ca’ dell’Odola è una tenuta di 20 ettari che si trova sui colli altotiberini, a San Giustino (Perugia): la proprietà è della famiglia Nocentini che, a partire dal 2006, inizia una sperimentazione su piante officinali, vini, oli, legumi, cereali.
Di questi 20 ettari, un ettaro è destinato alla viticoltura: un vigneto all’insegna della biodiversità che ospita ben 9 varietà di uve a bacca rossa, quali merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc, petit verdot, alicante, marselan, ciliegiolo, sagrantino, vernaccia nera.
3 i vini prodotti da queste uve: il Plinius - in onore a Plinio il Giovane che descriveva l’Alta Valle del Tevere come “un microcosmo perfetto, un immenso anfiteatro quale soltanto la natura può crearlo” - è un blend di merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon, petit verdot, marselan; Anitya, termine sanscrito che rimanda a uno dei principi cardine del buddismo, “l’impermanenza”, è un blend dei nove vitigni presenti; il Rosso dell’Odola è espressione dell’Umbria, di uve regionali e del Centro Italia, quali Ciliegiolo, Sagrantino, Vernaccia Nera, Alicante Bouschet.
Qual è l’urgenza a Ca’ dell’Odola?
Più che urgenza direi necessità, di essere custode di un pezzo t/Terra, intesa sia come un pezzo di terreno, sia come parte del pianeta Terra, assieme alle persone con cui collaboro. Siamo piccoli operai con l’intento di ricreare nicchie ecologiche di biodiversità e sostenibilità: una rete di persone che hanno una visione etica al di fuori delle etichette. L’approccio che adottiamo è quello della permacultura, dell’osservazione, progettando il nostro agro-ecosistema, ponendo la natura come principale fonte di ispirazione: un approccio rigenerativo all’agricoltura, volto a restituire fertilità e promuovere la formazione di un suolo che sia il più vivo possibile. Gandhi diceva che “dimenticare come coltivare la terra e come prendersi cura del suolo è dimenticare noi stessi”.
Come è iniziata la vostra avventura vitivinicola?
Abbiamo iniziato a lavorare la vigna nel 2008, la prima vinificazione risale al 2012, ma fino al 2017 il vino è stato prodotto e imbottigliato per Kemon, azienda di famiglia che opera in un altro settore, quello della bellezza e del benessere dei capelli, ma con la stessa cura e attenzione alla cultura della sostenibilità.
La prima annata etichettata Ca’ dell’Odola risale al 2017: il vino è stato prodotto nella cantina Gaudo al melo di Michele Scienza fino al 2020, a Castagneto Carducci. L’azienda agricola è certificata biologica dal 2008 e la cantina di Michele Scienza ha aderito al disciplinare dell’ente di controllo di certificazione a partire dal 2018. Temo comunque che questa del biologico sia diventata solo un’etichetta, un’autocertificazione per inserirsi in una fetta di mercato sempre più grande e volta alla speculazione, e anche un modo per accedere a dei finanziamenti pubblici che vengono elargiti solo se soddisfi dei parametri precisi che possono non rispettare i ritmi naturali.
Che intendi esattamente?
I parametri per accedere ai finanziamenti spesso sono più “quantitativi” che “qualitativi”, il che può favorire uno sfruttamento intensivo delle risorse: penso agli olivi, ad esempio, era uscito un bando per ottenere i finanziamenti per un frantoio, ma uno dei requisiti era che vi fossero 2000 olivi per ettaro, il che vuol dire essere costretti a piantare con un sesto di impianto intensivo e spesso adottare varietà non più locali e autoctone, come anche varietà spagnole, e snaturare la tua coltivazione e la tradizione.
Che suggerimenti daresti a Francesco Lollobrigida, il nuovo ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare?
Impedire le monocolture, lo sfruttamento intensivo della terra, per favorire la biodiversità; e incentivare la creazione di reti, la condivisione tra realtà produttive.
A tal proposito: con quali realtà del territorio hai stretto alleanza e fatto rete?
La prima alleanza è avvenuta con i vicini di campo, gli altri agricoltori custodi attorno a me. Con Mario ci siamo accordati sullo smaltimento delle sue ramaglie, che per lui erano un peso mentre per noi sono oro, in quanto fonte di sostanza organica per creare compost. In più c’è stato Pietro, con cui ci siamo divertiti a potare la vigna di suo babbo e poi a fare il vino contadino come piace a noi.
Per quanto riguarda l’uva, sia l’annata 2021 che questa, abbiamo creato scambi e relazioni con una cantina di Casa del Diavolo, Cantina Marco Merli, dove abbiamo vinificato Anitya 2021, e con Diego della Fattoria Calcabrina.
In più per fortuna c’è un grande movimento in vallata e in tutt’Italia riguardo nuovi approcci volti a un’agricoltura naturale, al fine di tutelare il suolo e reintegrare le risorse prelevate, ponendosi con rispetto al centro della natura. E già siamo una rete, sia locale che virtuale che mi dà aria di speranza e propositività.
Vino e arte: come si incontrano nella tua esperienza?
Il vignaiolo non è solo un custode, ma è un’artista, un creativo. Può creare paesaggio con i terreni, sperimentare differenziando le colture, e sperimentare nella produzione. C’è un’alchimia nella produzione: scegliere che tipo di macerazione e fermentazione fare, “giocare” con i blend, le annate..
Vino e musica?
La musica è fonte di ispirazione e nutre il mio lavoro in vigna. C’è il jazz, ad esempio, ma non solo: penso a Miles Davis, in particolare al brano da lui reinterpretato, It never entered my mind, al grande sassofonista e clarinettista londinese Shabaka Hutchings, in particolare al brano Teach me how to be vulnerable; Nubia Garcia, stella del new jazz londinese. Tra gli italiani, senza dubbio, Franco Battiato, per le parole, la musica, la sensibilità. Un consiglio: ascolta “Ricerca sul terzo”.
Consigli di lettura?
Tanti ma, in primis, i libri di Corrado Dottori tra cui Non è il vino dell’enologo – Lessico di un vignaiolo che dissente. Per un approccio decisamente diverso, che sfida le convenzioni, e che sfida il gusto con il suo personalissimo modo di “creare” il vino!