Due anni di pandemia all’ospedale di Città di Castello
Gestione dell’emergenza e servizi: la nostra intervista al direttore Silvio Pasqui
I tanti pazienti positivi ricoverati da tutto il territorio, e non solo, lungo quattro ondate Covid. La riprogrammazione delle attività cliniche non urgenti sospese a causa dell’emergenza e il recupero, nell’ultima fase, di procedure interventistiche e prestazioni ambulatoriali. La gestione del personale e delle delicate vicende mediatiche, come quella della morte del dottor Franco Trinca che hanno coinvolto direttamente la struttura tifernate. Ne abbiamo parlato con il dottor Silvio Pasqui, direttore dell’ospedale di Città di Castello.
Partiamo dall’inizio: arriva il Covid e l’ospedale tifernate rivoluziona il suo assetto
"Esatto. Fin dall’inizio della pandemia c’è stata una riorganizzazione: la politica regionale ha individuato il nostro ospedale, assieme ad altre strutture, per l’attivazione di un reparto Covid. Inizialmente abbiamo avuto sia il reparto classico, sia la terapia intensiva rivolta solo ai positivi al virus. In pratica per tutto il 2020 abbiamo avuto due rianimazioni: una per le patologie tradizionali e una riservata ai pazienti con Coronavirus".
Cosa è cambiato con le nuove ondate?
"Dal 2021 la terapia intensiva Covid è stata centralizzata negli ospedali di secondo livello, cioè Perugia e Terni. Noi abbiamo mantenuto un reparto dedicato che ha poi avuto alterne vicende: lo scorso anno, a maggio, i casi erano calati e perciò era stato chiuso, dopodiché è stato riaperto il 24 dicembre dell’anno scorso e tutt’ora è aperto con 16 posti letto. Questo assetto sarà probabilmente mantenuto fino alla definitiva conclusione di questa epidemia, che speriamo ovviamente possa avvenire il più presto possibile".
Quanto ha influito l’emergenza sugli altri servizi dell’ospedale?
"Per le situazioni programmabili c’è stato un rallentamento, ma tutte le prestazioni ambulatoriali prima del giugno 2021 sono state portate a compimento. Nei due anni la parte oncologica, ad esempio, non ha subito rallentamenti ed è stata preservata in toto: non abbiamo liste di attesa sulla prima visita oncologica e una volta fatta la diagnosi il paziente riceve i trattamenti necessari. Abbiamo fatto uno sforzo eccezionale per mantenere sia questa che tutte le altre attività urgenti ai livelli pre Covid. Adesso abbiamo anche un programma di rientro per le situazioni successive sul piano di tutela, e i tempi di attesa sono i migliori della nostra Asl. Nella primissima fase dell’emergenza c’era stato un blocco degli interventi chirurgici per spostare risorse sul Covid. Dall’ultima fase del dicembre 2021, non abbiamo avuto nessun tipo di chiusura. Il problema di altre situazioni critiche sono correlate alla carenza di alcune figure".
A tal proposito, anche l’ospedale tifernate deve gestire alcune criticità sul fronte della carenza di personale: qual è la situazione?
"È chiaro che dal punto di vista degli standard c’è una situazione di difficoltà. Mi preme sottolineare che le problematiche sono dovute non alla cattiva volontà dell’azienda sanitaria, quanto al fatto che specialmente nell’area medica c’è un’oggettiva difficoltà a reperire il personale. L’esempio eclatante sono gli anestesisti: la carenze più gravi riguardano soprattutto loro e il pronto soccorso. Per il resto non abbiamo situazioni particolari di criticità. I chirurghi sono in quantità sufficiente, gli infermieri lo stesso (ovviamente se ne arrivassero di nuovi sarebbero più che benvenuti). L’azienda ha comunque portato avanti con regolarità le politiche di acquisizione di nuovo personale".
Sappiamo inoltre che a causa dei pensionamenti cambieranno sia il primario di oncologia che quello di ginecologia
"Sì. Il 1° marzo scorso abbiamo avuto il pensionamento del dottor Stefano Bravi che era il direttore della struttura complessa di medicina interna, ma anche il direttore della struttura semplice dipartimentale di oncologia. Certamente ci sarà la volontà di andare a coprire presto questa mancanza e sulla struttura complessa si andrà a concorso in tempi brevi, mentre per la struttura semplice verrà nominato il nuovo responsabile con meccanismi interni. Per quanto riguarda la ginecologia, anche qui per raggiunti limiti di età ci sarà il pensionamento a breve del responsabile dottor Donatello Torrioli: l’ostetricia è un reparto che sta andando molto bene e siamo uno dei pochissimi ospedali dove non solo non c’è stato un calo dei parti, ma anzi si è registrato un importante incremento. Un’eccellenza che attrae molte persone anche da fuori".
Oncologia, in arrivo importanti novità con un importante finanziamento…
"Ci saranno potenziamento e implementazione dei reparti di oncologia e radioterapia grazie a un progetto messo a punto da uno studio di architettura regionale, di oltre 700mila euro, che è al vaglio del ministero e consentirà di proseguire sulla strada della definizione di percorsi interni, dell’organizzazione dei reparti e di una sempre più marcata umanizzazione degli spazi e delle sale di attesa".
Tornando al Covid, in chiusura, le chiediamo un parere sulla vicenda mediaticamente più impattante in questo biennio, ossia la morte di Franco Trinca
"Ricordiamo innanzitutto che il dottor Trinca, già prima del ricovero, aveva riscosso notorietà nazionale per via delle teorie da lui divulgate: essendo biologo nutrizionista, sosteneva che attraverso un mix di vitamine si potesse rafforzare il sistema immunitario senza ricorrere alla vaccinazione. Nonostante fosse di Magione, il dottore ha scelto autonomamente di essere ricoverato nel nostro ospedale. Qui ha ricevuto tutte le cure del caso e gli è stato consentito di proseguire anche con la sua terapia a base di mix di vitamine. Il dottore ha tuttavia rifiutato di essere intubato: al momento del suo arrivo la situazione era già grave, probabilmente perché fino a quel momento aveva optato per le cure domiciliari".
Perché quale motivo alcuni pazienti scelgono di non farsi intubare?
"I pazienti hanno facoltà e diritto di non accettare questo trattamento. Il fatto che qualcuno, cosciente, possa rifiutarlo è una cosa che noi dobbiamo accettare in maniera del tutto laica. Certo è che per noi, la morte di ogni paziente rappresenta sempre una sconfitta, soprattutto nella consapevolezza che attraverso la vaccinazione la storia si sarebbe potuta concludere in modo diverso. Spesso, anche in molti siti e chat pieni di teorie cervellotiche, si legge che l’intubazione è causa di morte, ma semmai è vero il contrario: se un paziente viene intubato è perché sta morendo. Può sembrare incredibile trovarsi qui a dover precisare questa cosa, ma dobbiamo ribadire che l’intubazione è l’ultima spiaggia, uno strumento impiegato sulle persone con una situazione ormai quasi del tutto compromessa".
Le cose sarebbero potute andare diversamente?
"Il Covid può avere sviluppi non totalmente prevedibili nella fascia di età nella quale rientrava lui, nonostante ci siano stati decessi anche tra le persone più ‘giovani’ e senza particolari patologie pregresse. La mia opinione è che, essendo le cure odierne legate all’aspetto prettamente sintomatico, l’unica possibilità che noi abbiamo momentaneamente per combattere la malattia in modo incisivo è quella di vaccinarsi. La vaccinazione non dà una copertura completa, perché c’è una parte di popolazione che non risponde o per motivi genetici o per motivi dovuti alla propria condizione di salute. Detto ciò, la proporzione nei decessi tra i vaccinati e non vaccinati è tuttora abissale. Altro aspetto chiave: siccome nel vaccinato l’infezione e l’infettività sono inferiori, possiamo garantire una protezione anche in quelle situazioni dove ci sono persone che non possono fare il vaccino (sono poche in realtà) o che hanno un sistema di risposta alla vaccinazione poco efficace. Perciò è importante continuare a supportare questo prezioso alleato".